Lessie come Jana

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(Revisionato)

Visti dai semplici passanti dovevamo sembrare tre amici che mangiavano qualcosa alla fine delle lezioni, non troppo diversi dai gruppi di studenti che sedevano ai tavoli poco distanti dal nostro. Non era un caso se io, Jan Horàk e Logan Hardin avevamo occupato quello più distante dagli altri e in penombra, neanche fossimo ricercati dall'FBI.

In realtà l'unico ad avere la faccia da ricercato era Jan, che si era così tanto calato nella parte da tentare di nascondere il volto con il cappuccio della sua felpa.

Logan, che era stupido, lo aveva copiato con la chiara intenzione di sembrare altrettanto fico e tenebroso, ma quel maxiburger che mangiava voracemente ‒ e che sapeva di cipolla lontano un miglio ‒ non avrebbe di certo attirato l'attenzione di nessuna ragazza. O almeno non come sperava lui.

«Carino questo posto» commentai in imbarazzo, nel tentativo di smorzare la tensione che c'era nell'aria. Tirai un sorso dal mio frullato alla fragola.

Avevamo optato per il diner più distante dalla scuola. Il sole aveva già iniziato a tramontare e lì, seduti tra le imbottiture rosso fuoco, nessuno sembrava fare caso a noi. Era il classico posto molto anni Cinquanta, con il pavimento a scacchiera e una gentile signora in divisa dall'altro lato del bancone. Sapeva di casa, quella vera, dove a qualsiasi orario ci avresti trovato qualcuno pronto ad accoglierti con un bel sorriso in volto e una manciata di ciambelle appena sfornate.

«L'hamburger è pazzesco» disse Logan con la bocca piena.

Allora lo guardai disgustata e mi chiesi a cosa diavolo avessi pensato quando lo avevo invitato a unirsi. Era passata poco più di mezz'ora e mi ero già pentita. «Pulisciti, fogna.» Gli indicai la guancia sinistra e lui mi sorrise imbarazzato, usando il dorso della mano. Quando Louise era nei paraggi non si comportava mai così, anzi, adottava atteggiamenti così regali e cavallereschi da far invidia a un principe. Era evidente che né io e né Jan suscitavamo in lui alcun tipo di riguardo. «Allora? Di cosa volevi parlarmi?» chiesi, rivolgendomi a Jan.

Guardare lui era sicuramente più piacevole, mentre stringeva una tazza di caffè americano con quelle sue mani grandi e forti venate da sottili linee bluastre che avrebbero fatto impazzire qualsiasi artista.

Lui mi guardò da sotto il cappuccio e qualche ciuffo di capelli neri gli solleticò la fronte. Senza dire nulla, afferrò dentro la sua borsa un piccolo diario rivestito in pelle per poi allungarlo verso di me. «Era di mia sorella.»

«Era questo quello che stavi leggendo l'altro giorno, sopra le scale?»

Non ebbe bisogno di rispondere per farmi capire che avevo fatto centro.

Passai i polpastrelli sulla leggera incisione che segnava le iniziali di Jana Horàk, una carezza che speravo potesse raggiungerla ovunque lei fosse.

Logan aveva smesso di masticare, o perlomeno si era reso conto del cambio di clima e aveva smesso di fare rumore. Ci guardava con estremo interesse e forse doveva aver capito che stava per iniziare una conversazione intima, e si sentì di troppo, perché di punto in bianco si alzò e abbandonò il panino sul piatto. «Vado a fumare» dichiarò.

Che io sapessi, lui non aveva il vizio del fumo, tuttavia gli lanciai comunque un'occhiata che sperai potesse trasmettergli tutta la mia gratitudine per quell'insolita comprensione. Quando fu abbastanza lontano ripresi a parlare. «Non leggerò il diario di tua sorella.»

Non avrei violato qualcosa di sacro, un oggetto che racchiudeva tutti i sogni e i pensieri di una ragazza, e probabilmente anche gli incubi che se l'erano portata via. C'era qualcosa di sbagliato nel fare un gesto del genere, che non poteva essere perdonato proprio perché la sua proprietaria non era più lì per poter concedere quella grazia.

BarlowWhere stories live. Discover now