Barlow purosangue

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La paura è un'emozione bizzarra.

Previsione di una situazione di pericolo, rappresenta la nostra forma di difesa primaria, biologica, e si manifesta sotto atteggiamenti di lotta o di fuga ancor prima che la minaccia diventi reale... o ti paralizzi.

Mentre la guardia carceraria mi scortava verso la sala adibita per gli incontri, sentii l'irrefrenabile istinto di darmela a gambe; e quando mi ritrovai seduta a uno dei tanti tavoli vuoti della stanza, mi resi conto che i miei arti non si sarebbero mossi neanche se fosse scoppiato un incendio. Sentivo gli occhi della guardia, vigile davanti alla porta, che mi scrutavano, probabilmente mentre si chiedeva cosa ci facesse una ragazzina lì, a quell'ora del mattino.

Iniziavo a chiedermelo anche io.

Iniziavo a chiedermi tante cose, in realtà: se avrebbero avvertito gli Horàk, se non lo avessero già fatto, o se la presenza di un'adolescente non fosse così importante da avvisare un intero clan.

Accavallai le gambe con fare nervoso, sistemai mille volte la coda e tamburellai le dita contro il tavolo, mentre mi struggevo in quell'attesa infinita.

Avrei sboccato.

Stavo per sboccare.

Forse anche la guardia lo avrebbe fatto, se non mi fossi data una calmata. Non ero un tipo ansioso, non ero abituata a sentirmi così.

Fragile. Insicura. Spaventata.

Come se un solo alito di vento potesse mandarmi in mille pezzi. Ero sempre stata quel tipo di ragazza che affrontava quasi tutto senza agitarsi mai.

D'altronde, però, era impossibile restare tranquilli e sorridenti a un passo dal primo incontro con il proprio padre in carcere. O almeno quello che si supponeva lo fosse.

E se non mi avesse riconosciuta? Probabilmente avrei chiamato Marvin in lacrime e lui lo avrebbe preso a pugni.

Scoppiai a ridere e la guardia, scivolando su quella saponetta che era la mia strana ilarità, fece altrettanto. Quando, a metà tra l'incredulo e il disgustato, mi voltai a guardare l'uomo che con quella risata era venuto meno al proprio dovere, questo si ammutolì e arrossì.

Lo scatto della porta dall'altro lato della stanza mi riportò alla realtà: tutti i pensieri che fino a quel momento avevano riempito la mia testa con quel loro vociare fastidioso si acquietarono come bestiole terrorizzate.

E in un attimo apparve mio padre, Roman Basilius Barlow.

Ben presto mi resi conto di non riuscire ad afferrare neanche un suo dettaglio, tanta era la foga con cui i miei occhi passavano da un angolo del suo viso all'altro. Più cercavo di imprimerlo nella mia mente, più la sua immagine sembrava dissolversi. Era lui a fuggire da me, o io a rifiutarmi di memorizzarlo?

Naturalmente era biondo, come voleva la stirpe dei purosangue Barlow. Un biondo platinato, quasi argenteo, che rifletteva una parte dei gelidi luoghi d'origine della nostra famiglia: la profonda Russia, madrepatria di Isadora Stroganova.

Aveva occhi di ghiaccio, privi di qualsiasi striatura che avrebbe potuto renderli più caldi, ma morbidi e un po' malinconici. Diversamente dalla nonna, i suoi erano velati di emozioni che si rincorrevano l'un l'altra con troppa rapidità per poterle riconoscere, inchiodare.

Mi guardava come se si aspettasse di vedermi svanire da un momento all'altro, mentre attendeva che la guardia lo liberasse dalle manette. Possedeva il carisma di Thomas, lo sguardo pacato di Henry e la camminata spavalda di Marvin, ma non aveva nulla di me e Penny.

Tra tutte le cose che avevo voglia di dirgli, mi scappò la più stupida. «Ti facevo più alto» balbettai, mentre mi sforzavo di sorridere. «Credo che Thomas ti abbia superato.»

BarlowWhere stories live. Discover now