Più biondi di prima

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Se infastidita, divento dispettosa.

Con questo intendo che inizio a fare cose come masticare rumorosamente, sospirare, sbattere gli armadietti della cucina o buttare per terra i CD di Marvin. Finora, lui era sempre stato l'unica vera vittima di questi miei atteggiamenti infantili, nonché il solo ad averli scatenati.

Questo prima degli Horàk.

Loro erano infatti riusciti a risvegliare la dodicenne viziata e di buona famiglia che avevo sempre cercato di reprimere, rinchiudendomi nella stanza del loro principe.

Fortunatamente aveva il bagno.

Dopo una settimana di silenzi, interrotti solo dal bussare della domestica quando mi portava da mangiare, il nervosismo mi aveva spinta a mettere a soqquadro la mia cella.

Jan Horàk, ti ricorderai del mio passaggio, pensai, mentre lanciavo per terra uno specchio ovale dall'aria molto antica, con la cornice dorata. Lo pensai anche quando strappai le tende e quando svuotai tutti i suoi cassetti, chiedendomi quando tutto quel baccano avrebbe costretto qualcuno a entrare. Dovevo parlare, o sarei uscita di testa. Mi sarebbe bastato persino un rimprovero.

Ribaltai il materasso. Ero quasi pronta a lanciarmi nell'ardua impresa di buttare l'armadio giù dal balconcino, quando il mio sguardo cadde su qualcosa che Jan teneva nascosto tra il materasso e la rete: foto. Preoccupata che qualcuno aprisse la porta proprio in quel momento, mi accucciai accanto al comodino e afferrai il piccolo malloppo legato da un filo di spago. C'erano alcuni fogli piegati, con una firma ricorrente fatta con i pastelli e dalla mano di un bambino.

"Da Jana per Jan".

Mi si strinse il cuore, e capii... capii che ciò che avevo appena trovato era il tesoro di Jan Horàk, la sua più grande debolezza. Foto ricordo di lui e sua sorella che ‒ forse ‒ era stato costretto a nascondere per non soffrire e che non era riuscito a distruggere.

Jana era piccola, con lunghi e lisci capelli neri come quelli di Cornelia, le guance e le labbra rosee, gli occhi scuri, grandi e luminosi. Sorrideva mentre abbracciava Jan, e il suo sorriso ingenuo terminava in due adorabili fossette.

Anche Jan era felice, e le sue labbra distese rendevano ancora più evidente la loro somiglianza: avevano la stessa pelle chiara, lo stesso sguardo profondo.

In alcune foto Jan era un bambino arrabbiato e Jana piangeva, come due fratelli normali che avevano appena litigato per un giocattolo.

Come me e Marvin.

Spesso la carta era stropicciata, quasi strappata, come se le avesse accartocciate e buttate via un milione di volte, per poi pentirsene un secondo dopo. Non doveva essere facile desiderare di cancellare una persona, ma allo stesso tempo sentire il bisogno di cercarla.

Il suono della porta che veniva richiusa mi fece trasalire, allora abbassai le mani che stringevano le foto.

Jan era appoggiato alla porta, aveva un sopracciglio sollevato e guardava in silenzio ‒ avrei detto appena divertito ‒ la stanza messa a soqquadro. I suoi occhi si soffermarono sullo specchio frantumato. Mio Dio, aveva delle ciglia così lunghe...

«Era un cimelio di famiglia?» balbettai. Avevo le guance in fiamme.

Jan portò lo sguardo su di me. «No, ma ti toccano sette anni di sfiga.»

«Superstizioso?»

«Sono ceco, noi viviamo di superstizioni.» Si staccò dalla porta e iniziò a venirmi incontro, mentre sentivo diventare roventi le foto che stringevo fra le mani. Mi sentivo così in colpa che stavano prendendo fuoco tra le mie dita. Infatti, quando Jan vide cosa avevo disseppellito, si arrestò.

BarlowWhere stories live. Discover now