32 - Try

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I primi giorni senza Will furono i peggiori. La sua morte improvvisa aveva stravolto le loro vite. Peggio: le aveva distrutte. A quanto Jem aveva potuto dedurre dai messaggi ricevuti dai genitori di Sara, il suo stato di depressione aumentava giorno dopo giorno e stava raggiungendo livelli drammatici: non andava più a danza, non faceva più le sue abituali passeggiate al parco, non partecipava agli incontri con lo psicoterapeuta, non usciva praticamente più di casa. L'unica azione che ancora la sottraeva dal trasformarsi in un completo vegetale era la lettura. Nella lettura si rifugiava, nella lettura annegava i suoi pensieri e quel che restava della sua anima devastata.

Jem, dal canto suo, non se la passava meglio: le sue giornate erano scandite dal battito del suo cuore solitario, mentre lo sguardo vagava pigramente da una parte all'altra della camera in cerca di qualcosa che un tempo avrebbe chiamato ispirazione. Una piccola parte dentro di lui sembrava suggerirgli che quella poteva forse essere la via da percorrere per ritrovare un po' di luce. D'altronde, cos'altro avrebbe potuto fare per stare meglio se non provare a fare ciò che amava di più?

Una opprimente mattina di fine agosto, Jem era impegnato a cercare una parola per completare la prima strofa che aveva buttato giù dalla morte di Will quando il campanello di casa suonò: erano i genitori di Sara. Andò ad aprire loro la porta. La madre era la versione adulta di Sara ma con i capelli più corti; il padre, alto e corpulento con quei baffoni grigi e l'aria austera, scortava la donna dentro tenendole una mano sulla spalla. Quell'uomo imponente dallo sguardo severo gli metteva sempre addosso una certa soggezione, forse più di suo padre, si era trovato per l'ennesima volta a riflettere Jem.

«Ciao, caro» esordì la madre di Sara, stringendolo in un abbraccio affettuoso e distogliendolo dai suoi pensieri. «Disturbiamo?»

«Affatto. Accomodatevi» disse Jem, facendo loro cenno di seguirlo in salotto e invitandoli ad accomodarsi. La coppia si sistemò sul lungo divano di pelle mentre Jem prese posto sulla poltrona accanto.

«I tuoi come stanno? E tu?» esordì con apprensione la signora Villa.

«Bene... per quanto possibile, grazie» rispose Jem abbozzando un sorriso di circostanza.

«Oh, caro. Noi siamo... beh, non voglio girarci attorno: non saremmo venuti se non fosse stato necessario. Ecco, Sara sta molto male, come puoi immaginare» riprese la madre con un sospiro. Jem sgranò gli occhi e si sporse in avanti. «Quanto male?»

«Oltre a non voler più uscire di casa, negli ultimi giorni si è barricata in camera. Esce solo per mangiare e cambiarsi» spiegò il padre in tono burbero, mentre la moglie annuiva al suo fianco.

«Quei pochi momenti in cui siamo nella stessa stanza, tiene gli occhi sui libri e si rifiuta di parlarci. Siamo molto preoccupati» aggiunse la madre di Sara cercando di controllare la crescente tensione nella voce.

«Questa depressione sta diventando cronica» dichiarò il padre battendo esasperato le manone sulle ginocchia.

«Come ti ho accennato, si rifiuta categoricamente di venire con noi alle sedute con lo psicoterapeuta. Se continua così n-noi... beh, noi saremo costretti ad adottare misure drastiche» dichiarò la signora Villa scambiandosi un'occhiata col marito prima di proseguire. «Ma prima volevamo metterti al corrente di questa situazione per sentire il tuo parere. In fondo, tu la conosci meglio di noi per certi aspetti. Avete passato così tanto tempo insieme...» concluse la donna portandosi una mano tremante alla bocca per trattenere l'improvvisa ondata di commozione che l'aveva assalita. Il marito le porse prontamente un fazzoletto, borbottando qualcosa sottovoce.

Jem si stava sforzando di elaborare con lucidità una soluzione senza lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento anche su di lui. Dopo essersi preso qualche secondo per soppesare con cura le parole da usare, disse: «Comprendo la vostra preoccupazione, dev'essere stravolta. Tuttavia, se posso, vorrei pregarvi di non costringerla a esporsi se non vuole. Non penso sia il caso di forzare la mano in questo momento, temo si chiuderebbe ancor più in se stessa». Jem si fermò e rivolse uno sguardo deciso ai genitori di Sara. «Io... potrei provare a parlarle. A passare un po' di tempo con lei e vedere come va» propose infine, stringendosi nelle spalle e tentando di apparire il più speranzoso possibile.

«Oh caro, caro figliolo... speravamo tanto che lo dicessi!» sospirò la madre di Sara, stringendo tra le dita il fazzoletto sul quale si erano impresse tracce di trucco.

«Puoi venire a trovarla quando vuoi» dichiarò a quel punto il padre, passando con premura un braccio attorno alle spalle della moglie. «Magari con te potrebbe aprirsi.»

Jem annuì serio. «Grazie signor Villa. Forse non sono la persona più adatta a infonderle fiducia e positività dopo quello che è successo, ma posso provarci. Posso provare a distrarla, a farle fare le cose che le piacciono... a farla scrivere, magari. È ciò che sto provando a fare io. Non so se si riprenderà, ma posso promettervi che ce la metterò tutta per farla star meglio.» A quel punto la madre di Sara non riuscì più a trattenere le lacrime ed esplose in un pianto liberatorio. «Grazie. Grazie di cuore, caro» disse andandogli incontro e abbracciandolo forte.

The DreamersWhere stories live. Discover now