38 - Monster

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Era passato un mese dalla morte di Will, e Sara e Jem avevano pian piano ripreso in mano le loro vite, ripartendo dalla scrittura di poesie. Si erano anche dati qualche volta appuntamento al parco Sempione nel loro piccolo angolo di paradiso, seduti ai piedi del grande albero, la schiena contro la corteccia ruvida e un libro tra le mani, in comunione con la loro amata natura. Sembrava fosse finalmente giunta la quiete dopo la tempesta. Fino a quel pomeriggio, almeno.

I due amici erano nel salotto di Jem: lui suonava il piano mentre lei, seduta a terra con le gambe incrociate sotto il basso tavolino di vetro, stava facendo un puzzle regalato da Will a Jem raffigurante una delle sue opere preferite: Naufragio di William Turner.

Perso tra le note del suo notturno, Jem rimuginava su tutto quello che era successo: l'incomprensibile morte di Will, il crollo di Sara, il baratro da cui aveva dovuto tirarla fuori mettendo da parte tutto il resto e reprimendo i sensi di colpa per dedicarsi interamente a lei. In quel momento, tutto il peso di quella tragica morte riaffiorò insieme alla sua paura più grande: che lui ne fosse stato la causa. Rievocò per la millesima volta quel ricordo-sogno che aveva avuto quando era svenuto a bordo dell'imbarcazione. Certo, se fosse stato reale avrebbe spiegato tutto. Il senso di colpa divenne d'un tratto insopportabile, non riusciva più a tenerselo dentro.

Le sue dita si scagliarono sui tasti con violenza: i tocchi finirono per diventare pugni, la melodia un'accozzaglia di note stonate. Le lacrime affiorarono incontrollate e presero a scorrere sul suo viso magro e triste. Poi sopraggiunse la collera: Jem fece volare via i libri di musica dal leggio e seppellì il volto tra le mani.

In un attimo Sara balzò in piedi e gli fu accanto, prendendogli le mani e stringendogliele al petto, abbracciandolo da dietro.

«È colpa mia, lo so... è tutta colpa mia!» gemette disperato Jem in preda ai singhiozzi, pallido come un cero.

«Ssh, ssh. Non dire così. Non è colpa di nessuno! È successo e basta» cercò di calmarlo Sara, confusa e impaurita da quell'improvviso scatto d'ira.

«Tu... tu non puoi capire!» sbottò Jem, liberandosi con stizza dalla sua presa e allontanandosi bruscamente dal piano, facendo spaventare Napoleone che corse a nascondersi dietro il divano. Era così furioso che avrebbe stritolato qualsiasi cosa gli fosse capitata sotto mano.

«Dev'essere andata così... Sono stato io: ho ucciso io Will!» urlò girando nervoso per la sala e stringendosi la testa tra le mani, come a voler evitare che esplodesse in mille pezzi.

Sara lo fissò seria. «Jem, perché dici questo? Mi stai facendo paura. Perché sei così crudele con te stesso? Siamo tutti provati dalla morte di Will, ma non possiamo darci colpe che non abbiamo.» Jem continuava a scuotere il capo e a percorrere irrequieto la sala. Dopo un paio di minuti si fermò e, finalmente, parlò.

«Quando abbiamo scoperto che Will non era a bordo, quando ho avuto quel mancamento e sono svenuto, io... io ho avuto una visione, una specie di flashback credo. Io e Will eravamo fuori e stavamo bevendo e scherzando. A un certo punto lui mi ha provocato e io l'ho spinto sul bordo, lui ha perso l'equilibrio ed è caduto in acqua. Io mi sono fatto prendere dal panico, non sapevo cosa fare, volevo aiutarlo ma non sapevo come. Lui gridava aiuto e... io ero lì, incapace di muovermi e di soccorrerlo. Dopodiché non ricordo più nulla. Mi sono svegliato accanto a te al mattino e... il resto lo sai» concluse Jem, poggiando le mani sul grande e lungo tavolo al centro e dandole le spalle. Non riusciva neanche a guardarla in faccia.

«Non so se è successo davvero, non so se è un ricordo o solo un sogno... Fatto sta che da allora quella scena mi perseguita. So che è assurdo ma... Perdonami! Non riuscivo più a tenermelo dentro» gemette, stringendo la tovaglia di seta tra i pugni. Un paio di braccia gli circondarono la vita e, subito dopo, il capo di Sara era tra le sue scapole.

«Calmati, Jem. È stato solo un sogno. Pensi che se fosse successo davvero, io o il comandante non avremmo sentito niente? E poi, prima di addormentarmi, ricordo che eravamo tutti insieme dopo l'ultimo brindisi in cabina.» Jem scosse la testa, per nulla convinto dalle parole di Sara.

«È stato solo un incubo!» insistette Sara. «Non avresti mai potuto spingere Will giù, se è quello che pensi, né lasciarlo annegare.»

«Ne sei così sicura? Avrei potuto benissimo farlo, invece. Per invidia... gelosia, forse? Chissà!»

Sara rimase muta per qualche secondo, cercando di elaborare la frustrazione racchiusa in quelle parole. «No, non l'avresti mai fatto. Sarai maledettamente testardo, irritante, pessimista... Ma non sei un assassino, ok? Non è a causa tua che Will è morto.»

Jem si voltò di scatto e la guardò dritto negli occhi. «E allora perché sto così male? Perché mi sento un mostro? Era tutto così dannatamente reale. Dio, non riesco neanche a guardarmi allo specchio. Se solo ci penso, io... io...» Jem si morse il labbro, incapace di aggiungere altro.

Come faceva a farle capire quanto si detestasse e si sentisse orribile ai suoi occhi? Lei non conosceva il suo lato oscuro, non poteva conoscerlo. Jem si era ben guardato dal nasconderlo ai suoi migliori amici. Soprattutto ai suoi migliori amici. E a cosa aveva portato?

«Jem, adesso smettila di piangerti addosso e stammi bene a sentire» s'impose Sara, puntando con determinazione gli occhi nei suoi. «Quella notte abbiamo bevuto, scherzato e poi siamo crollati in cabina. Fine. Non siamo responsabili di cosa sia successo a Will là fuori. Tu non hai fatto niente! È stato un incidente, capito?»

«E dai, Sara, non prendiamoci in giro: uno non cade in mare così, per caso! E mi rifiuto di credere che Will si sia buttato di proposito. Ne abbiamo sentite di tutti i colori, ma sappiamo che si sbagliano tutti. Noi lo conoscevamo: nessun problema in famiglia, né depressione, né manie di protagonismo, niente consumo di droghe o chissà che altro. Non sappiamo perché l'abbia fatto. Non ha lasciato messaggi in bottiglia né nastri registrati... Niente. La mia versione dei fatti, per quanto terrificante, risulta comunque più plausibile di tutte le assurdità che abbiamo sentito finora sul suo conto.»

«Stai delirando» mormorò Sara fissandolo con occhi sbarrati.

«Sara, tu non capisci! I miei sogni sono così... reali» gemette afferrandosi i capelli e strizzando le palpebre nel tentativo di scacciar via dalla memoria immagini di loro tre a una festa che sembravano appartenere a un'altra vita. «E se fossi uno psicopatico che a volte perde il controllo? Se avessi uno sdoppiamento della personalità? Una specie di Dr. Jekyll e Mr. Hyde? Per quanto ne so, potrei essere stato io.»

Sara sbuffò contrariata e gli si avvicinò. «Senti, mi dispiace che tu sia ossessionato da quest'incubo, ma è solo un incubo. Hai fatto bene a sfogarti: posso assicurarti che non era reale, era frutto della tua fantasia galoppante e... contorta!» sentenziò battendogli con fervore le mani sul petto e guardandolo con determinazione, sperando di averlo convinto. Ma Jem non pareva intenzionato a replicare, anzi era freddo e rigido come una colonna. Tuttavia, il fatto che avesse smesso di tremare e stringere i pugni era già qualcosa.

«Ora è il tuo turno: devi farmi una promessa» fece lei seria, stringendo la sua t-shirt tra le dita. «Promettimi che non ti darai più la colpa della sua morte. Non lasciamoci prendere dall'autolesionismo: me l'hai detto tu. Erano solo parole?»

«Non posso fare promesse su come mi comporterò quando non sono neanche in grado di rendere conto delle mie azioni.»

«Adesso basta, Jem, guardami!» s'impose Sara, costringendo gli occhi di Jem nei suoi. «Ricordi com'ero solo qualche giorno fa? Uno zombie. Ero sull'orlo del baratro e tu mi hai salvata. In queste settimane hai messo da parte te stesso, hai represso le emozioni per prenderti cura di me. Solo ora mi rendo conto di quanto ti sia costato tutto questo. Lasciami rimediare. Lasciati salvare» lo implorò Sara, avvicinando la mano al suo cuore. «Al contrario di quello che pensi e a prescindere da quello che la gente dirà, io so chi sei. Sei la persona più intelligente, onesta e affidabile che conosca. Non faresti mai del male a nessuno. Smettila di tormentarti senza motivo. È uno strazio vederti così.»

Detto questo, lo abbracciò forte. Jem la lasciò fare, incapace di ricambiare ma allo stesso tempo di respingerla. Sentire il corpo di lei contro il suo, quella stretta calda e decisa, riuscì in qualche modo a tranquillizzarlo. Chiuse gli occhi e si concentrò solo su quel momento, mentre il battito del cuore si regolarizzava e il respiro tornava normale.

The DreamersWhere stories live. Discover now