34 - Antidote

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Sara si svegliò con un sussulto nel cuore della notte. Gli occhi spalancati fissavano il buio, il respiro era affannoso e il cuore palpitava forte. Gli incubi sulla morte di Will continuavano a ossessionarla. Lo vedeva ovunque: nei corridoi della scuola; al parco, disteso sotto al loro albero preferito; seduto a scrivere attorno alla solita tavola rotonda; davanti alla sua tela mentre la ritraeva; in camera sua a condividere sogni e aspirazioni... Aveva provato a reprimere quelle immagini. Aveva provato a lasciarsi distrarre da Jem, dai libri, dalla scrittura, ma il suo subconscio sembrava non volerlo lasciare andare. Per quanto si sforzasse di guardare avanti, una parte di sé, quella più emotiva e irrazionale, continuava a negare che Will non ci fosse più. Non avrebbe più potuto andare a trovarlo, non avrebbero più potuto passare i pomeriggi insieme a inventare poesie, scherzare e fantasticare sul loro futuro. Era un incubo a occhi aperti.

Accese la lampada sul comodino e si alzò, avvicinandosi ai disegni e dipinti di Will che aveva accuratamente affisso alle pareti. Rimase lì ad ammirarli con aria trasognata, perdendo il senso del tempo e dello spazio. Un tratto così fluido e preciso, dei colori così vividi... La fitta al petto si acuì all'istante, facendola riavere da quel momentaneo stato di trance. Non ce la faceva, era troppo dura da sopportare.

Cercando di essere il più silenziosa possibile, sgusciò fuori dalla sua camera, fece una rapida escursione in casa e infine si diresse al bagno più vicino alla sua stanza. Chiuse la porta e girò adagio la chiave nella serratura. Si piazzò di fronte allo specchio e restò lì a fissare il suo riflesso per un po'. La fredda lampadina a led sopra la sua testa tagliava sul suo viso luci e ombre nette rendendolo spettrale, simile a quello di un cadavere.

Aveva promesso che non si sarebbero mai lasciati, che sarebbero rimasti per sempre uniti. Perché non aveva mantenuto quella promessa? Perché se n'era andato?

Le lacrime cominciarono a scorrere sulle sue guance mentre si sfilava il pigiama di dosso. Forse non erano così importanti per lui come credevano, pensò fissando allo specchio il suo pietoso riflesso sfocato dalle lacrime. Tirò fuori dalla tasca del pigiama una piccola lama e ne analizzò la superficie levigata alla luce azzurrina del faretto. Si infilò in doccia, aprì il getto vi si avvicinò e chiuse gli occhi, pregando che l'acqua lavasse via le sue sofferenze. I singhiozzi e le lacrime si mischiarono presto alle altre gocce che le scivolavano addosso. Riaprì gli occhi e rivolse l'attenzione al suo polso sinistro. Percorse lentamente col dito quel disegno d'inchiostro inciso sulla pelle.

Eccolo lì, il simbolo della loro amicizia che ogni giorno le ricordava quello che erano e che non sarebbero più stati. Tre semplici angoli, tre linee rette che si toccavano circoscrivendo uno spazio che era loro e solo loro. Ma il mondo racchiuso in quel piccolo spazio non esisteva più. E neanche quel triangolo aveva più ragione d'esistere. Tutto era perduto, tutto era inutile ormai. Davanti il nulla, dietro le macerie dopo l'apocalisse.

Sara si lasciò sfuggire un gemito soffocato quando la lama fredda entrò in contatto con la pelle calda e sottile del suo polso. 

Quel che seguì fu puro strazio. 

The DreamersWhere stories live. Discover now