Capitolo 55

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Vedova.
Madre.
Morta.

Mi attendeva un futuro florido a quanto pare.

Nessuno mi ha mai chiesto cosa volessi, Luca si è permesso troppi lussi, si è preso la mia vita, ha ucciso i miei genitori, mi ha messo contro l'uomo che amo, mi ha impedito di essere felice, di essere una donna capace di vedere la realtà.

Le sue belle parole sono state un veleno potentissimo e mi hanno stregata, l'involucro di cristallo mi ha illusa, mi ha fatto credere che all'interno ci fosse l'oro, ma non tutto ciò che luccica è oro.

"Mi dispiace, adesso io volo"
Adesso comando io, adesso ti dimostro che non sono disposta a piegarmi al tuo cospetto.

Sussuro vicino al suo orecchio, mentre stringo il coltello, ancora imbrattato del suo sangue immondo, che è arrivato vicino il cuore.

Mi alzo da terra e fisso negli occhi l'assassino di Luca.

Poco prima.

"Sei fortunata che non posso squartarti per far uscire il mio bambino"
Non sarà tuo, non sarà tuo.
Continuavo a ripetermi.

Tirandomi per i capelli, mi fece andare dalla parte opposta della sala, completamente isolata dal mondo e al buio totale, avevano chiuso ogni singola entrata, uscita e tenda.

Aria, pipì.
No, non ora.

"Luca"
Le mie gambe si stringevano fra di loro, per allievare quella improvvisa necessità.

"Luca"
Non ne voleva sentire di darmi ascolto.

"Devo andare in bagno"
Dissi, in preda al fastidio ed alla necessità di liberarmi.

Luca decise di guardarmi, per vedere se realmente dovessi andare in bagno e si convisse proprio quando notò come le mie gambe si stessero stringendo fra di loro.

Notai un cambiamento sul suo volto e di colpo non sentivo più una presa ferrea che stringeva i miei capelli, anzi, poco a poco, il dolore alla nuca diminuiva e rilasciava una dolce sensazione.

Le sue lignee facciali non erano più dure, gli occhi non erano socchiusi in piccole fessure, il suo sguardo smetteva di scrutare ogni singolo angolo.
Lui sorrise in maniera beffarda.

"Prenditi questi pochi minuti di libertà"
Mi lasciava?
Disse allungando il braccio sinistro verso suo fratello.

Si, mi stava lasciando libera.

Libera di abbracciare per l'ultima volta il mio amore.

Ebbene si, Jeremiah era incosciente, ler terra, ricolmo di sangue, già attorno gli occhi si notavano dei lividi, aveva lo zigomo sinistro gonfio e di colore giallo, la camicia che gli stava a pennello rovinata, quasi distrutta da degli animali.

Mi precipitai verso mio marito, sperando di avere qualche potere curativo e di guarirlo completamente, di farlo alzare, di poter scappare e non essere mai più ritrovati.
Quanto meno che si alzasse e ci portasse lontano da tutti.

La mia non era una favola, ma una terribile realtà.

"Amore, amore mio"
Presi delicatamente il suo viso e lo poggiai sopra le mie gambe, delle gocce di sangue erano schizzate lungo la gonna.

Poco importava, lui era il mio sangue.

"Io, io, ti porterò fuori da qui.
Lo faremo insieme, tutti e tre, saremo felici ed andremo lontano.
Poi, magari allargheremo la famiglia, o magari no, ma so che resteremo insieme per sempre"
Piangevo, tanto.
Le lacrime quasi lavavano via il sangue secco attorno alle labbra di Jeremiah.
Ansimavo, lo accarezzavo, non potevo abbandonarlo.

Non lì e non ridotto in quello stato.

Una speranza si accese in me.
Le sue labbra si muovevano, ma nessuna parola, solo versi uscivano da essa.

😘😘

Il Segreto Dell'illegalità 2.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora