Zuccherino

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Avrei voluto strozzare Rebecca, ma lei mi accolse euforica e mi stampò un bacio sulla guancia mentre si infilava il cappotto dicendo che doveva correre a lezione di economia. Nonostante tutto, non riuscivo mai a restare arrabbiata con lei, era come se la sua allegria mi contagiasse e ogni rancore spariva non appena mi sorrideva.

Il mio cellulare iniziò a vibrare sul tavolino del salotto e mi preparai mentalmente quando vidi il nome che lampeggiava sul display.

"Ciao papà"

"Camilla, la tua sceneggiata non è ancora finita?"

"No, ero seria quando ti ho detto che mi sarei mantenuta da sola, ed è quello che sto facendo."

"Ti stai comportando in modo ridicolo, lo so che stai facendo la barista e chissà che altro, la gente penserà che mia figlia sia una stracciona, e tutto perché non vuoi seguire la strada che è stata scelta per te!"

"Non ho mai voluto che qualcun altro scegliesse la mia strada!" mi stavo davvero agitando e mi accorsi di aver alzato il tono.

"Bene" concluse con voce piatta. Mio padre non perdeva quasi mai la calma, restava sempre composto e sul suo viso non trapelava nessuna emozione, ma nonostante le sue parole fossero sempre pacate, il loro significato era capace di ferirmi come la lama di un coltello.

"Se vuoi continuare in questo modo, ti lascerò fare" aggiunse poi " non credo che riuscirai a farcela da sola ancora per molto tempo." 

Iniziai a sentire un groppo in fondo alla gola. Riagganciai senza dire altro. Questa era la fiducia che riponeva nelle mie capacità, la fiducia che riponeva in me. La cosa mi feriva più di quanto volessi ammettere, più di quanto fossi disposta ad accettare, ma nonostante cercassi di farmi scivolare tutta la conversazione addosso, furono alcune lacrime a scivolare lungo le mie guance.

Ferma in mezzo al mio piccolo salotto con il cellulare ancora stretto in mano alzai lo sguardo e mi resi conto che la porta di casa era spalancata e sul pianerottolo di fronte a me c'era Samuele che mi fissava con un caffè d'asporto tra le mani.

"Va tutto bene?" mi chiese avvicinandosi all'ingresso. Sembrava preoccupato per me, così mi agitai più del dovuto mentre cercavo di asciugarmi il viso con la manica della felpa che indossavo.

"Sì" sussurrai "più o meno" feci un timido sorriso che si trasformò in una smorfia di disappunto quando mi ricordai che mi ero appena svegliata e non mi ero neanche guardata allo specchio. Che disastro!

"Ho finito il mio caffè" mi disse sventolando la tazza di cartone che aveva in mano "ti va di fare colazione al bar?"

Cosa?! Samuele mi stava davvero invitando? Probabilmente apparivo più sconvolta di quel che credevo!

Acconsentii impacciata perché in quel momento l'unica cosa che volevo era uscire di casa e non pensare più a quella brutta telefonata. Mi lavai il viso con dell'acqua fredda e indossai un paio di jeans e un maglione. Era ottobre ormai e iniziava a fare fresco fuori, così aggiunsi un cappotto sopra, afferrai la mia borsa e raggiunsi Samuele che mi aspettava al portone al piano di sotto.

"Cosa prendi, stalker?" mi chiese mentre studiava la lavagna appesa dietro al bancone del piccolo bar nel quale ci eravamo seduti.

"Puoi smetterla di chiamarmi stalker ora!"

"È che non mi ricordo il tuo nome"

Rimasi spiazzata da quella risposta, lo guardai con un'espressione che evidentemente lo divertì molto perché scoppiò a ridere e, per la prima volta, sembrava una risata sincera.

"Sto scherzando, Camilla!" calcò volontariamente il tono mentre pronunciava il mio nome, fissandomi intensamente negli occhi. Questo suo cambio di comportamento mi creava disagio, non sapevo come interpretarlo.

"Preferisco Cami" risposi, ripensando al modo in cui mio padre pronunciava sempre il mio nome per intero.

"Cami..." sembrò rifletterci mentre continuava a guardarmi. Strane sensazioni iniziavano a muoversi dentro di me. Dovevo assolutamente prendermi un caffè e darmi una svegliata.

Ne ordinai uno doppio, per stare sicura, mentre Samuele prese un cappuccino e ci mise un quintale di zucchero, facendomi sorridere: "Con tutto quello zucchero dovresti essere un ragazzo super dolce! Forse ti chiamerò zuccherino!"

"Allora io ti dovrei chiamare tequila" avvampai ricordando la pessima figura della sera precedente.

"Grazie per ieri sera" mi sentii in dovere di dire, era stato stranamente gentile... ultimamente era sempre stranamente gentile, in realtà.

"Sei in debito con me ora!" quasi mi strozzai mentre bevevo sentendo quelle parole. In debito?!

"Cosa vorrebbe dire?"

"Non so ancora" ripose dubbioso "vedremo!"


Passai la mattina a lezione e il pomeriggio al lavoro nel negozio di fiori, quando fu il momento delle consegne, non rimasi sorpresa nel constatare che il destinatario era ancora Tommaso. 

A quanto pareva tra le ragazze dell'università si era sparsa velocemente la voce del servizio dei fiori del castigo, ma non avevano compreso che a Tommaso non importava nulla di ricevere quei fiori e, tantomeno, di sapere chi glieli mandava.

"Che pensiero carino!" disse ironicamente il ragazzo quando gli consegnai il mazzo di fiori appassiti.

"Finirai per esserne sommerso!"

"Forse il tuo capo dovrebbe darmi una percentuale!"

"Forse dovresti trovarti una ragazza seria"

"Vuoi candidarti?" si chinò in avanti mentre lo diceva arrivando a pochi centimetri dal mio viso.

Decisi di sfidarlo rispondendo: "Se ti dicessi sì?"

Mi guardò sorpreso, ma subito dopo si fece serio e, proprio nel momento in cui gli stavo per dire che scherzavo, disse: "Allora ti invito a cena."

Mi prese per il polso e mi trascinò dentro casa, fino alla cucina, dove c'era Samuele che mangiava da un cartone d'asporto con una scritta in cinese stampata sopra. Si fermò con la forchetta a mezz'aria stupito di trovarmi li.

"Serviti pure" esordì Tommaso e, dopo aver abbandonato il mazzo di fiori nel lavello, si accomodò su una delle sedie intorno al tavolo, addentando nel contempo un involtino primavera. 

Io rimasi ferma in mezzo alla cucina, spostando il peso da un piede all'altro, indecisa se restare davvero o tornarmene nel mio appartamento ma poi Samuele, sorridendo, mi porse un biscotto della fortuna. Pensai che forse dovevo stare attenta a non superare il limite con i miei vicini, ma potevo comunque essere loro amica.

"Grazie" gli risposi prendendo posto e spezzando in due il biscotto, che rivelò il tipico bigliettino con la sua saggia frase: "La realtà ha i suoi limiti, la stupidità no."

Ridacchiai tra me per l'ironia del destino mentre i due ragazzi mi guardavano perplessi. Quello strano triangolo era l'inizio di qualcosa, ma io non ero stupida... giusto?!

Se son rose... appassiranno!Where stories live. Discover now