Aeroplanino

1.8K 98 24
                                    


Dopo la disastrosa partita a paintball, mi ritrovai lividi per tutto il corpo, mentre Rebecca continuò a mandarmi foto per una settimana intera, mostrandomi il segno che le avevo lasciato sul braccio, quando l'avevo colpita per sbaglio. Com'era rancorosa certe volte!

Nonostante non fosse ancora ottobre, l'aria iniziava ad essere già un po' fresca, ma io oggi ringraziavo il cielo per questa brezza che mi accarezzava le gambe scoperte. Stavo indossando uno dei costumi più stupidi, tra tutti i costumi stupidi che avevo dovuto sopportare. 

Ero un pianeta. Più precisamente ero la terra, perché stavo pubblicizzando un'agenzia di viaggi, ma da lontano, sembravo solamente una palla. Tonda e gigante. Le braccia restavano sollevate rispetto al corpo, perché l'ampia circonferenza del mio travestimento, non mi permetteva di abbassarle. E per aggiungere ulteriore imbarazzo, mi avevano ordinato di tenere in mano un bastoncino, sul quale era stato attaccato un aeroplanino di carta, e ogni tanto dovevo sventolarlo, cercando di attirare l'attenzione dei passanti.

Era così umiliante che, avevo deciso che Tommaso, non avrebbe dovuto vedere neanche una mia foto conciata così. Ma qualche volta (nel mio caso diciamo pure sempre!) il destino è crudele, e le persone sbagliate capitano, nel momento peggiore.

Stavo mimando il viaggio del mio velivolo di carta, intorno al mio mondo/pallone, quando alzai lo sguardo e incontrai gli occhi freddi e impietriti di mio padre. Il bastoncino cadde a terra con un lieve rumore, mentre il mio cuore si arrestava, di botto.

Cosa ci faceva qui?

Restammo immobili, uno più sconvolto dell'altro, senza riuscire a parlare, senza respirare, senza staccarci gli occhi di dosso. Poi, mio padre tornò alla sua solita espressione indifferente, mi voltò le spalle e si incamminò lungo il marciapiede, sparendo tra la folla. Io restai congelata sul posto, avevo perso anche la capacità di piangere.

Finito il mio turno di lavoro, mi precipitai al mio palazzo, impaziente di sdraiarmi sul letto, riordinare i pensieri e telefonare a mio padre, per dargli una qualche spiegazione che mi restituisse un po' di dignità (dovevo pensarci bene effettivamente!)

Aprii il portone e feci le rampe di scale, salendo due grandi alla volta. Quando arrivai al pianerottolo, avevo il fiato corto e mi appoggiai al corrimano per riprendere fiato. Solo in quel momento mi resi conto che la porta di casa mia era socchiusa e delle voci provenivano dal suo interno. Mi avvicinai circospetta, cercando di non far rumore.

"Non sei all'altezza di mia figlia, guarda come vai in giro conciato!" sentii dire con tono severo.

"E' una normale tuta" fu la risposta tranquilla di Tommaso. Oh cavolo, cosa ci facevano loro due insieme? Nel mio appartamento poi!

"Appunto!" tuonò mio padre.

"Lei non indossa tute, signore?"

"Non prenderti gioco di me, ragazzino"

"Non sono un ragazzino, così come non lo è Camilla. Le sue scelte le prende da sola. E lei ha scelto me, che la cosa le vada bene o meno" i battiti del mio cuore accelerarono, mentre i muscoli si tendevano, in attesa della risposta acida di mio padre.

"Hai ragione" rispose invece. Il suo tono sembrava rassegnato, ma non potevo crederci davvero. Mio padre non aveva mai fatto un passo verso di me in vita sua, perché mai avrebbe dovuto iniziare ora, dopo avermi visto pure vestita da mondo?

"Camilla ha scelto la sua strada" continuò poi, mentre io restavo ad origliare sul pianerottolo, incredula per quelle parole e incapace di entrare " e per quanto io abbia provato a fermarla, lei è andata avanti a testa alta. E' caparbia almeno quanto me. Senza soldi e appoggi, credevo che sarebbe tornata subito da me, invece è già passato un anno... nonostante i suoi discutibili lavori, credo che sia da... ammirare" pronunciò l'ultima parola con un tono sorpreso, quasi non si aspettasse nemmeno lui di dirla, ma gli uscì dalla bocca in modo così sincero, che automaticamente entrai nel mio appartamento, mostrandomi a loro.

"Cami" mormorò Tommaso non appena mi vide. Mio padre si voltò nella mia direzione, con un'espressione nuovamente severa dipinta in volto. Forse non si aspettava che io sentissi quella confessione, o forse non voleva ammettere neanche con se stesso quel pensiero.

Ma io ero contenta di aver ascoltato le sue parole, per la prima volta, mi era sembrato vulnerabile e umano. Sentii gli occhi pizzicarmi. Facevo tanto la superiore, quella forte che può opporsi al padre, ma in realtà volevo la sua approvazione e soprattutto volevo il suo amore.

"Grazie, papà" gli dissi, guardandolo commossa. Vidi un lampo di dolcezza passare attraverso i suoi occhi, ma era un sentimento così assurdo nello sguardo di mio padre, che pensai di averlo solo immaginato.

"Non sono comunque d'accordo con quello che fai. I tuoi lavori sono assurdi. Ma non ti ostacolerò più, e se avrai bisogno di soldi, chiamami."

Gli sorrisi riconoscente. Era più di quello che mi sarei mai aspettata da parte sua. Lui mi superò impassibile e sparì oltre le scale, lasciando dietro di sé un piccolo seme per una possibile rifioritura del nostro rapporto. 

Se coltivato, tutto può rinascere. 

Se son rose... appassiranno!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora