Chi?!

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Non appena varcai l'ingresso della mia grande casa, mi sentii mancare il respiro, neanche avessi attraversato un portale per un'altra dimensione. Tutto in quel posto esprimeva ricchezza, potere e tristezza. Sembrava una casa vissuta appena, tanto era immacolata. Mi ricordai all'istante quando, a sei anni, stavo inseguendo una farfalla, che si era intrufolata in casa, e rovesciai un vaso che era appoggiato sopra un tavolino. Sapevo che avevo combinato un bel guaio, perciò cercai di nascondere tutti i pezzi scheggiati sotto al grande tappeto persiano, ma finii solo per tagliarmi l'indice.

Quando mia madre mi vide, chinata per terra, con la mano sporca di sangue ad imbrattare il suo prezioso tappeto, mi fece una sfuriata, sostenendo che avevo rovinato persino quello. Il taglio sul mio dito fu medicato solo dopo aver smacchiato il tappeto, ovviamente dalla domestica, mentre mia madre supervisionava severa.

Cercai di prendere dei profondi respiri e avanzai lungo il corridoio, sorpassando il salotto circondato da grandi vetrate che davano su un giardino perfettamente curato.

"Mamma?" chiamai, alzando leggermente la voce, perché "nessuna signorina che si rispetti starnazza come un'oca"

"Oh Camilla cara!" Rosario, la nostra governante, arrivò velocemente dalla cucina per accogliermi in un abbraccio, l'unico che avrei mai avuto in quel posto. Era impeccabile come sempre nella sua divisa e con quell'acconciatura che le raccoglieva tutti gli scuri capelli, interrotti da qualche filo bianco, in uno chignon. Lei era sempre stata con noi da quando ne avevo memoria, ed era stata l'unica che mi aveva mostrato affetto genuino, senza preoccuparsi di come poteva appariva. Mi aveva sempre protetto quando combinavo dei guai e io le volevo un gran bene. Ormai la sua pelle era percorsa da piccole rughe e i suoi occhi sembravano stanchi, ma per me restava sempre la mia dolce Rosario.

"Come stai?" le domandai con un gran sorriso.

"Bene tesoro, ma da quando sei andata via, questa casa è diventata così vuota!" le accarezzai una guancia teneramente.

"Camilla!" la voce decisa di mia madre mi fece sobbalzare, mi voltai con un sorriso tirato... la battaglia era iniziata!

"Ciao mamma, tutto bene?"

"Sì, amore mio" disse lei avvicinandosi con passo sicuro nonostante i suoi tacchi alti "mi sei mancata tanto..." fece per sfiorarmi un braccio ma all'ultimo un mio dettaglio attirò la sua attenzione e la sua mano finì sul mio orecchio "... ti sei fatta un piercing?" 

Fissava con orrore l'anellino posizionato nella parte alta del mio orecchio, come se mi fossi mutilata.

"Non si vede neanche..." provai a dire, ma lei mi interruppe bruscamente sentenziando: "È così volgare!"

"Mamma, è solo un orecchino!"

"Coprilo, prima che lo veda Marco!" e così dicendo mi superò diretta verso la sala da pranzo.

Prima di cosa?

"Chi è Marco?" chiesi con un velo di panico nella voce... non prometteva nulla di buono.


Il grande tavolo di marmo era apparecchiato perfettamente, tovaglia bianca finemente ricamata, piatti di porcellana e bicchieri di cristallo, la cui distanza era così precisa da essere quasi maniacale (anzi, senza il quasi!).

Ero seduta composta su una pregiata sedia dell'800, gambe leggermente incrociate, schiena dritta, testa alta, braccia ai lati del piatto. Non troppo poggiate sul tavolo, ma neanche sotto la tovaglia! Questi erano stati i miei insegnamenti fin dall'infanzia... ancora ricordo la scenata che mi aveva fatto mia madre quando, a dieci anni, avevo bevuto il brodo direttamente dal piatto senza usare le posate. Avevo cercato di rimediare usando il cucchiaio, per finire quello che ne restava, e mi ero sbrodolata la camicetta di seta che stavo indossando! Ovviamente ero stata sgridata ancora.

L'atmosfera era così tesa che nessuno parlava da quando avevamo finito di mangiare l'antipasto. Io fissavo il mio bicchiere di vino ancora pieno, desiderando di berlo tutto d'un fiato per permettere ai miei muscoli di rilassarsi un po'. Ma sapevo che non sarebbe mai stata una buona idea, dovevo restare lucida, e soprattutto calma.

Camilla, stai calma.

Respira.

Certo, respirare... una cosa piuttosto facile. Invece no! Non era facile per niente quando nel posto di fronte a me sedeva il ragazzo che mio padre aveva scelto come mio futuro fidanzato e come mio futuro mar... no dai non voglio neanche pensarlo, è così assurdo! Assurdo!

"Vittoria, sollecita la cameriera con il primo, per favore" disse mio padre con il suo solito tono perentorio, interrompendo il silenzio che era diventato il protagonista del pranzo.

"Certo caro" gli rispose mia madre in modo accondiscendente. Lei non era mai stata capace di contrastare mio padre, non ci aveva mai neanche provato. Era cresciuta con una figura paterna che le aveva trasmesso l'idea di sottomissione verso il proprio marito, perciò riteneva che fosse quello il modo giusto di comportarsi. Non aveva mai accettato il mio atteggiamento ribelle, la mia indipendenza, la mia capacità di difendermi dagli attacchi di mio padre. Evitava sempre di prender parte alle nostre discussioni, se non per rimproverarmi o zittirmi.

"Signore, vorrei approfittare di questo momento e ringraziarla per l'invito, sono onorato di..." iniziò a dire il mio cosiddetto futuro fidanzato, cercando di mantenere una postura sicura e una voce ferma. Il suo nome era Marco e non era un brutto ragazzo, alto, con un fisico ben proporzionato, accentuato dal completo scuro ed elegante che indossava. Aveva i capelli neri perfettamente pettinati e occhi scuri che avevano cercato per tutto il tempo l'approvazione di mio padre. Era come un cagnolino che obbedisce agli ordini sperando di ricevere un premietto.

Il premietto, ovviamente non ero io. Probabilmente era un qualche stage nello studio di avvocati del quale mio padre era socio.

"Ti prego, chiamami Pietro. Uscirai con mia figlia quindi..." si bloccò all'improvviso, volgendo lo sguardo nella mia direzione con un'espressione impassibile del volto. Istintivamente avevo sposato la sedia indietro per girarmi completamente verso mio padre, producendo un forte rumore sul pavimento di legno levigato.

"Non usciremo insieme papà" ribattei con la fronte corrugata e le mani strette in un pugno. Il suo volto non mutò, ma notai dai suoi occhi che era arrabbiato. Anzi era furioso.

"Non è una decisione che spetta a te, sono tuo padre e so cosa..."

"Non sai niente invece" lo interruppi mentre le mie unghie spingevano contro i palmi delle mie mani "io ho già un fidanzato!"

Mia madre e Marco fissavano la nostra battaglia senza fiatare, terrorizzati dall'intensità dei nostri sguardi, incapaci di restare ad assistere, ma anche di alzarsi e andarsene. Erano in un limbo di disagio, soprattutto Marco.

"Non credo sia giusto per te" concluse lui riacquistando la sua solita compostezza, mentre la cameriere piazzava un piatto di risotto davanti a lui.

"Neanche lo conosci. Samuele è... " pronunciando queste parole notai lo sguardo di rimprovero che mio padre lanciò a mia madre. Era il momento della sua battuta, che non tardò ad arrivare, scontata come sempre: "Camilla quando la smetterai di compiere queste scelte sbagliate?"

Spostai la mia attenzione su di lei e cercai di far valere le mie parole: "Mamma, prima di giudicarlo dovreste almeno conoscerlo."

"Basta, non ammetto un simile atteggiamento da parte tua! Ti ho già lasciato abbastanza libertà, non intendo stare a guardare mentre compi uno sbaglio dietro l'altro." Il tono di mio padre non ammetteva repliche.

Sentii un dolore pungente alle mani e mi resi conto che le unghie avevano iniziato a ferire la mia pelle. Era troppo. Avevo cercato di ricucire un po' lo strappo che si stava creando nella nostra famiglia, ma non ero disposta a rinunciare al mio futuro per accontentare le richieste egoistiche di mio padre. Credevo che avesse almeno iniziato a cambiare idea su di me. Gli stavo dimostrando che potevo farcela da sola, che ero in grado di mantenermi e realizzare le mie ambizioni, ma evidentemente mi sbagliavo. Per lui esisteva solamente la sua strada, tutte le altre erano da sbarrare.

Gli rivolsi un ultimo sguardo ferito prima che le lacrime, che spingevano nei miei occhi, percorressero le mie guance, poi mi alzai e scusandomi con Marco per la scenata alla quale aveva dovuto assistere, me ne andai.

Lo strappo era ormai diventato una lacerazione.

Se son rose... appassiranno!Where stories live. Discover now