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"Okay, devi fare un saltino, ce la fai?" mi domanda Charles, tenendo stretta la mia mano nella sua. Guardo ancora una volta lo spazio che separa il molo dalla barca e percepisco la mia instabilità sui tacchi vertiginosi che ho deciso di indossare.
"Emma non possiamo stare qui tutta la sera" mi ricorda, esortandomi a salire.
"Sì, ma se cado?" sbotto, riportando lo sguardo al profilo d'acqua che spunta a qualche centimetro dai miei piedi.
"Non ci passi in un buco del genere, al limite rimani incastrata" commenta.
"Ah grazie, ora sono molto più tranquilla" rispondo sulla difensiva, facendo un passo indietro.
Lui sbuffa, per poi scendere dalla barca e venire a fianco a me.
"Scordati di prendermi in braccio, voglio farcela da sola" lo anticipo.
Lui alza le mani in segno di resa.
"Però sbrigati" mi incalza.
"Non mettermi ansia".
Lui aspetta, incrociando le braccia al petto.
Mi sposto appena di mezzo millimetro e lui già allunga le mani sulle mie spalle per assicurarsi che non cada. Sposto il mio sguardo su di lui, con fare interrogativo.
"Non vorrei ti facessi male" cerca di spiegarsi "è stato un gesto impulsivo".
Un sorriso mi nasce spontaneo, poi torno a guardare la barca. Conto fino a tre nella mia testa.
1, 2, 3!
Al tre allungo la gamba destra e l'appoggio sulla barca. Con calma sposto il peso sulla punta del piede e porto anche l'altra gamba sul pavimento di legno.
"Ce l'ho fatta" mormoro, incredula.
"Alleluja" dice lui, seguendomi senza alcun problema.
"Avrei voluto vedere te su dei tacchi così alti" sottolineo, mettendomi di nuovo sulla difensiva.
"Non controbatto solo perché quelle scarpe te le ho regalate io" risponde, mentre armeggia di qua e di là lungo la barca.
Io resto letteralmente con le mani in mano, a guardarlo darsi da fare.
Dopo qualche attimo vedo la barca allontanarsi dal molo e impieghiamo poco tempo ad uscire dal porticciolo.
Sentendo il pavimento instabile sotto ai miei piedi, mi siedo su un sedile in pelle bianca, in un continuo fruscio di tessuto.
Sì, mi sono dimenticata di dirvi cosa indosso: dopo essere rientrati in hotel ho trovato un pacchetto sul letto. Conteneva il vestito che ho provato ieri con Charles, quello bianco e nero. Appena ho visto l'incarto azzurro, ho intuito che era stato confezionato nella prima boutique in cui siamo entrati. Che dire, il regalo è stato azzeccatissimo, benché mi fossi ripromessa di non indossarlo in sua presenza.

Qualche minuto più tardi ci ritroviamo sufficientemente distanti dalla costa, e Charles decide di fermarsi.
"Champagne?" mi chiede, dopo essersi seduto di fronte a me.
Annuisco, incrociando le gambe.
Stappa la bottiglia con un unico gesto, si vede che è abituato a farlo, e mi porge un calice per riempirlo.
"Pensavo fossi un tipo da yacht lussuosissimi" commento, facendo roteare lo stelo della flute fra le dita, mentre lui riempie la sua.
"Attirano solo l'attenzione" risponde, prendendo un sorso.
Quindi non vuoi farti vedere con me.
"Già tutta la mia vita è sotto i riflettori" aggiunge poi, appoggiandosi allo schienale e allungandovi sopra un braccio.
Bevo un sorso, riflettendo sulle sue parole. In effetti, qualsiasi avvenimento della sua vita, bello o brutto che sia stato, è trapelato in qualche modo alla stampa.
"Alla privacy" dico allora, alzando il calice.
Lui ridacchia per il mio brindisi così fuori dagli schemi.
"Alla privacy" risponde, facendo tintinnare le nostre flute.
Mandiamo poi giù entrambi un lungo sorso, guardandoci negli occhi.

Dopo il secondo bicchiere di champagne, sento la mente svuotarsi e il cuore farsi leggero. Appoggio perciò il calice sul tavolino a fianco al divanetto su cui sono seduta e mi sdraio a guardare le stelle.
Anche Charles si allunga sul divanetto di fronte al mio.
Scorro velocemente lo sguardo lungo tutto il cielo, poi un brivido di freddo mi attraversa la schiena.
"Vieni qui" suggerisce Charles, allungando una mano per prendere la mia.
Preferirei non farlo, so cosa potrebbe accadere dopo, ma il freddo e lo champagne mi spingono a non dare retta ai miei pensieri.
Mi alzo perciò e mi vado a sedere fra le sue gambe. All'inizio mi sento un po' impacciata, poi appoggio la schiena al suo petto e lui mi avvolge con le sue braccia. Il suo tocco fa svanire tutte le mie incertezze. Mi sento come se finalmente fossi tornata a casa dopo un lungo viaggio.
Il suo profumo alla menta stuzzica il mio olfatto e mi stringo ancora di più a lui per sentirlo meglio.
"Che freddo" mormoro, come scusa.
"Ho una coperta se vuoi" dice, allentando la presa sul mio corpo, per andare a prenderla.
"No!" rispondo, con un po' troppa foga, "Sto bene così" aggiungo, cercando invano di rimediare.
Lui si lascia sfuggire un lieve sorriso e torna a stringermi a sé.
Restiamo a guardare le stelle per un tempo indefinito, scandito solo dai circoletti che con le dita disegno sul dorso della sua mano.
"Ci venivo sempre con mio padre" dice ad un certo punto.
Una folata di vento segue subito dopo le sue parole e mi rannicchio ancora di più a lui.
"Mangiavamo qualcosa in barca e poi guardavamo le stelle, insieme ai miei fratelli" continua.
Mi volto leggermente, in modo da appoggiare l'orecchio sul suo petto. In sottofondo sento il suo cuore battere con calma.
Segue qualche attimo di silenzio, in cui smette di parlare.
"Non ho mai portato nessun'altra a vedere le stelle" sussurra.
Un sorriso affiora sulle mie labbra, ma cerco di non farlo notare. Mi stacco da lui per poterlo vedere meglio.
"Se solo mi amassi come ami la mia Portofino" aggiunge poi con un sospiro teatrale, facendomi ridere.
"Che scemo!" dico, scuotendo la testa, ma continuando a ridere. I nostri sguardi si incontrano per una frazione di secondo, poi scelgo di azzerare la distanza fra noi due. Lo faccio molto lentamente, per godermi il momento.
I nostri nasi si sfiorano, sento il suo profumo. I nostri respiri si intrecciano e lui appoggia una mano sul mio collo per attirarmi a sé.
Poi lo bacio.

Le sue labbra a contatto con le mie risvegliano in me una sensazione che non sentivo da un po' di tempo. Con la lingua sfioro il suo labbro inferiore, per sentire ancora una volta il sapore delicato dello champagne.
Con la mano libera mi afferra la nuca e mi bacia con ancora più foga.
Io intanto inizio a sbottonare il primo bottone della sua camicia. Poi il secondo. Poi il terzo.
Le sue mani scendono lungo la mia schiena e intercettano la zip del vestito. La abbassano abbastanza da rendere floscio il corpetto, da cui sfilo le braccia, nel mentre che Charles si leva del tutto la camicia.
Torniamo poi a baciarci e sentirlo pelle contro pelle mi manda in tilt tutti i freni inibitori che mi ero imposta qualche giorno fa.
Armeggio poi con la cintura dei suoi pantaloni e lui infila una mano sotto il tulle della mia gonna.
Mi irrigidisco non appena sfiora con le dita la cicatrice. Con un gesto involontario lo allontano da me.
"Scusami, non ci ho pensato" dice, ancora con il fiatone.
Anche io riprendo fiato per un attimo, poi con un gesto della testa spazzo via tutti i timori che in un secondo mi sono fatta venire.
Riporto la sua mano sulla mia cicatrice. Posso sopportarlo.
Con il pollice ne segue il contorno, facendo attenzione a non premere troppo.
"Ti fa male?" chiede ad un certo punto.
"No" rispondo, strappandogli un altro bacio, prima di sfilarmi completamente il vestito.
"Però il dottore ha detto di non fare movimenti bruschi" aggiungo, spingendolo sul divanetto. Un'espressione sorpresa si dipinge sul suo volto.
"Perciò sto sopra io" dico, facendogli l'occhiolino e riprendendo da dove eravamo rimasti.

Portofino | Charles LeclercWhere stories live. Discover now