XXXIII.

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Oliver cercò di capire l'espressione indecifrabile sul volto dell'anziana donna, era un gioco che faceva da sempre, tentare di dare un senso agli impercettibili movimenti dei muscoli facciali di sua nonna e soprattutto a quei grandi occhi.
Non ci era mai riuscito e non contava di farlo nello stato di alterazione emotiva dovuto al libro di Katie in cui si trovava, ma in qualche modo ripetere quel gesto così consuetudinario gli fece pensare che forse non stava ancora diventando del tutto pazzo.
Dopo qualche istante di vuoto, la nonna fece un mezzo sorriso e spinse una nuova tazza di tè verso Oliver. Si toccò con l'indice segnato dagli anni le labbra di cartavetra e annuì, senza proferire parola.
Non amava parlare. Isla era sempre stata la compagna silenziosa della vita di Kenneth. Perfettamente felice nel ruolo di moglie di un uomo che amava parlare così tanto che colmava anche i vuoti lasciati da Isla, senza fargliene una colpa.
Oliver aveva conosciuto poche donne tanto schive, ma allo stesso tempo sua nonna aveva la straordinaria capacità di tacere in modo quasi regale. La presenza di Isla era sempre fonte di disagio per chi non vi era abituato, perché c'era qualcosa di superiore nei suoi atteggiamenti, quasi antico.
Ma per i suoi nipoti era solo la taciturna nonna Isla che però regalava sorrisi dolci quasi quanto le sue strane torte.
Mentre Oliver fissava l'interno della tazza abbattuto la donna inclinò leggermente la testa e sospirò -il mio nome non è Isla- il nipote improvvisamente la guardò perplesso -per meglio dire è il mio secondo nome- gli occhi di Oliver erano sempre più confusi.
-Per quasi trent'anni sono stata Eyra- deglutì come se pronunciare quella parola la scuotesse -mi chiamavo Eyra Isla Sorensen- chiuse gli occhi per un istante e il suo accento si fece aspro, ancor più aspro di quello della gente di quelle zone -sono nata a Scalloway, nelle Shetland, nel 1927- Oliver non capiva dove quel racconto sarebbe andato a parare.
-Eyra ha smesso di esistere perché la sua famiglia è stata una delle prime ad appoggiare Tom Riddle-.

1 settembre 1938
-Una Sorensen...non credo di avere molta scelta- la bambina con la treccia color miele si sedette di fianco al ragazzino con i capelli scuri che sembrava del tutto a disagio in quel momento, come se non avesse ancora ben chiaro perché si trovasse lì. Anche se forse quello era ciò che stava pensando.
Due ragazzi biondi e piuttosto slanciati le si avvicinarono mentre spiluccava una pietanza qua e là, quello con gli occhi chiari le strinse la mano in modo incredibilmwnte formale mentre l'altro le fece un cenno di approvazione con il capo. I fratelli di Eyra non erano gemelli, ma erano nati in date che facevano sì che frequentassero entrambi il quinto anno, ed in più di una situazione si comportavano come se avessero condiviso i nove mesi prima di venire al mondo.
-Nostro padre sarà sollevato- osservò il maggiore -temeva che il Cappello potesse metterti in chissà quale Casa, visto che di recente decide di non tenere conto del lignaggio- continuò il minore -e tu, mia cara sorella, sei suffiecientemente mansueta e priva di ambizione da essere una Tassofrasso-. Eyra incassò l'ennesimo colpo e annuì sperando che se ne andassero, con la coda dell'occhio notò che il ragazzino accanto a lei si stava abbuffando e si chiese da quanto non mangiasse.
-Non ti sei difesa- non era una domanda quella che usciva dalla bocca dell'affamato e ne rimase sorpresa, tanto che ci mise un attimo a replicare -perché hanno ragione loro, sono mansueta- gli occhi scuri furono percorsi da uno strano guizzo -non sarai una grande Serpeverde- Eyra strinse le spalle e non si offese per quelle parole così dirette, perché in fondo sentiva che quel tipo aveva solo trasposto in parole ciò che lei sentiva.
-Tu invece hai del potenziale- lui addentò del pane e sbuffò -sei persino gentile, Sorensen. Senza speranza- Eyra non era sicura che quel commento le dispiacesse. Lei era così e non avrebbe di certo cambiato la sua natura solo perché sette generazioni di Sorensen erano stati membri della Casa di Serpeverde.

1943
Eyra avrebbe volentieri colpito Tom Riddle con il libro di Pozioni. Al troll la sua indole mansueta. Lo sentiva lanciarle occhiate cariche di quella che si era convinta fosse disapprovazione, ma ogni volta che alzava lo sguardo il suo collega Prefetto stava lavorando su una di quelle cose che nessuno capiva. Tom Riddle era, come aveva pronosticato Eyra, un Serpeverde come si deve con un'ambizione sconfinata e una sete di conoscenza che spaventava alcuni insegnati, mentre altri lo trovavano solo straordinario. Solo il professor Silente sembrava diffidare di quel ragazzo con gli occhi scintillanti, Eyra aveva impiegato anni per capire che gli sguardi di Silente verso Riddle erano carichi di diffidenza non solo perché quell'uomo era alquanto difficile da interpretare, ma anche perché per lei Tom era un tipo strano, ma assolutamente innocuo.
Aveva sempre avuto il pregio di non averle fatto notare la sua totale inadeguatezza alla casa di Serpeverde, cosa che tutti gli altri ripetevano sistematicamente. Lui la giudicava in silenzio, ma Eyra era piuttosto convinta che Tom Riddle vedesse solo se stesso e probabilmente quei giudizi erano sporadici.
Doveva essere felice di avere un Prefetto come lei accanto, sarebbero spiccate tutte le sue doti dato che lei non era all'altezza e Eyra, da quel settembre, aveva maturato la convizione che dietro la nomina di una come lei ci fosse qualche disegno a favore del talento di Riddle.
Erano convissuti in pace, senza che lui recriminasse gli interventi della collega, finché non l'aveva beccata mano nella mano con Kenneth Wood, il capitano della squadra di Grifondoro. Sentiva le sue occhiate cariche di disapprovazione da ormai una settimana e nonostante fosse abituata a quel genere di sentimento nei suoi confronti, il fatto che anche Riddle vi si fosse abbandonato, e per un motivo tanto stupido, la infastidiva.
-Riddle, con le voci sulla Camera dei Segreti e tutto il resto- ringhiò ad un certo punto spazientita -tu ti concentri su di me?- lui strinse le spalle in quel modo strafottente per il quale più di una volta aveva pensato di prenderlo a schiaffi.
Si sporse sul tavolo avvicinandosi alla ragazza e il peculiare scintillio negi occhi scuri fece uno strano effetto ad Eyra.
Le sarebbe piaciuto saper esibire uno sguardo tanto enigmatico, Tom ammaliava le persone fin da ragazzino, poi era diventato un giovanotto e l'aspetto gradevole faceva il resto.
-Se la Camera dei Segreti è stata aperta, non temere- fece un sorriso beffardo -troverò personalmente il responsabile-. Eyra non dubitava affatto che ci sarebbe riuscito, Tom Riddle riusciva in tutto ciò che faceva.
-Quindi ho tutto il tempo per studiare tutti i comportamenti attraverso i quali contribuisci alla tua emarginazione nella nostra gloriosa Casa- concluse sbattendo le palpebre mentre lei quasi scoppiò a ridere per la surrealtà di quella conversazione.
Non riuscirono a parlare ulteriormente perché un gruppo del primo anno entrò nella sala comune strillando. L'unica parola che Eyra riuscì a carpire fu "ammazzata" ed il sangue le si gelò nelle vene.
-Kenneth Wood è un'ottima scelta per la tua ribellione, Sorensen- si sentì dire sopra la spalla mentre con gli occhi sgranati cercava di capire come placare quella massa di ragazzini terrorizzati. Si voltò di scatto verso l'altro Prefetto e quando lo vide completamente calmo si chiese che cosa avesse quel ragazzo che non andava. L'idea che fosse felice di poter dimostrare le sue doti trovando il colpevole le attraversò la mente per scomparire nel momento esatto in cui il Barone attraversò la parete del sotterraneo e riferì ai Prefetti gli ordini di Dippet.
-Te l'hanno mai detto quanto sei inopportuno, Tom?- gli sibilò mentre lui spingeva non troppo gentilmente gli studenti verso le stanze -fa parte del mio fascino- la ragazza fece una smorfia e lui sghignazzò -tu invece Eyra, sei davvero singolare- lei inarcò le sopracciglia e lo guardò come a dire che l'avrebbe preso come un complimento -nessun Serpeverde ti bacerebbe-. Eyra rimase a bocca aperta e si trattenne dal colpirlo perché Lumacorno era apparso in quel momento trafelato e paonazzo. -Sei un viscido, Riddle- gli disse a denti stretti mentre lui rivolgeva uno di quegli irresistibili sorrisi al povero Lumacorno al quale il giovane Riddle si apprestava a mettere a disposizione i propri servizi.

1957
Eyra non riusciva a parlare. La lettera di suo fratello tra le dita tremanti e gli occhi sbarrati. Aveva sentito del ridicolo movimento messo in piedi da Tom Riddle. Si facevano chiamare Mangiamorte. L'aveva fatta ridere perché aveva immaginato Tom insignire di quel lugubre titolo i quattro idioti che sarebbe riuscito ad attrarre.
Lei continuava a chiamarlo Tom Riddle, ma Tom in qualche momento non precisato, forse durante le lezioni di Erbologia, aveva creato un fiabesco anagramma del suo nome e si faceva chiamare Lord Voldemort. Il sedicenne che non si faceva gli affari propri e spiava lei e Kenneth aveva trovato anche un nome d'arte.
Non aveva preso sul serio ciò che la dottrina di Riddle professava perché credeva di conoscerlo e credeva che fosse innocuo, un po' eccessivo ma era il suo carattere. Il mistero che si andava creando intorno alla figura di Tom Riddle non l'aveva impressionata, lei conosceva quel ragazzo.
Poi i fatti che sosteneva si erano fatti sempre più radicali e aveva capito che Tom stava sfruttando la sua forza ammaliatrice per attrarre quelli che credevano in una presunta superiorità. E Eyra li conosceva bene. Era cresciuta ed era andata a scuola con loro e con l'avanzare di quelle teorie si sentiva ancora più diversa che quando era ragazzina.
Quella lettera la metteva di fronte alla verità che, si stupì, non aveva mai accettato. La sua famiglia era una di quelle che credevano in quei principi.
Si era staccata da loro tanti anni prima, quando aveva sposato Kenneth. Leggendo le parole allucinate di suo fratello si sentì sporca. Come se portare il nome che loro avevano usato la rendesse parte di quello che loro sostenevano. Eyra era mansueta e quella sera chiese a suo marito di iniziare a chiamarla Isla, subito aver scritto una lettera di addio ai Sorensen.
Aveva sempre saputo di essere diversa, ma non credeva che lo sarebbe stata tanto. Non credeva che dei superbi purosangue sarebbero diventati degli invasati.
Soprattutto non voleva che i suoi figli conoscessero quel male. Perché stava iniziando a capire. Tom Riddle stava solo incominciando.
-Ti chiamerò come desideri, ma sappi che non mi interessa che cosa si dirà- Kenneth le prese la mano nella penombra della cucina -io sento la tua anima e ti conosco, ed è l'unica cosa che conta-.

Oliver aveva gli occhi sgranati e teneva le mani sulle guance. L'anziana donna invece guardava un punto imprecisato fuori dalla finestra ed Oliver si chiese se la sua mente l'avesse riportata ai giorni di Hogwarts. Fu solo quando i loro sguardi si incrociarono che Oliver smise di chiedersi perché nessuno gli avesse mai parlato del passato di sua nonna, vide solo un profondo dolore. Ivy non era stata che l'ultimo dei familiari che aveva perso per la violenza scatenata da Lord Voldemort. Aveva perso prima la sua famiglia.

 -Li hanno ammazzati per colpa mia- mormorò -credevano che mi passassero informazioni- la voce di Isla si spezzò così come lo fece qualcosa dentro Oliver. Avrebbe solo voluto abbracciarla. La sofferenza di sua nonna pulsava nelle vene di Oliver e non si capacitò di come avesse potuto sopportarla per così tanti anni. Era senso di colpa ed era lo stesso che provava lui. Ivy gli era scivolata fra le dita. Aveva realizzato una frazione di secondo prima del crollo che sarebbe rimasta sotto le macerie, non era stato abbastanza veloce. Non era stato sufficientemente pronto da salvarla. Ma poteva solo immaginare ciò che opprimeva Isla. Non era stato un muro ad uccidere la sua famiglia. Non era morta una famiglia innocente. Ma erano cinquant'anni che Isla conviveva con l'idea che forse, se avesse voluto, avrebbe potuto salvarli. Far cambiare loro idea. Sarebbe stato necessario non respingerli, perché si era allontanata tanto tempo prima che scegliessero quella terribile strada, perché la facevano sentire sbagliata e soprattutto non avrebbe dovuto sottovalutare Tom Riddle.
-Darei qualsiasi cosa per essere capace di rendere questo peso meno opprimente- prese le mani di Oliver -come ha fatto Katherine- dsse più lentamente le ultime parole, riprendendo un briciolo di sicurezza nella voce.
-Ero così arrabbiato...l'ho trattata in modo davvero crudele- la donna sorrise e scosse la testa, serrando le dita intorno ai polsi di Oliver. Gi disse che lo capiva, che quella rabbia incontrollata proveniva dal terribile senso di impotenza che aveva provato. Si sentì davvero compreso, anche prima che lei gli sussurrasse risoluta che non aveva colpe nella morte di Ivy. Con tutto quello che era accaduto Oliver non si era mai ritagliato uno spazio per parlarne. Forse era per quel motivo che era esploso per il manoscritto di Katie. Sua nonna aveva deciso di condividere con lui la propria storia cosicché si rendesse conto che lei locapiva davvero. Guardò pieno di gratidudine quegli occhi chiari, ma poi fu nuovamente catturato dalla situazione che lo attanagliava.
-Ha buttato via il lavoro di mesi per quello che le ho detto- sbatté amaramente le palpebre, mentre la nonna continuava a sorridere -perché la tua opinione per lei è importante- il ragazzo sospirò -io invece le ho solo mancato di rispetto- deglutì -non ho avuto alcuna considerazione di quello che ha passato- si portò le mani tra i capelli e se li scompigliò guardando il fondo della tazza -non riuscirò mai a farmi perdonare-.

-La senti?- chiese ad un tratto Isla e lo sguardo indagatorio si sciolse di fronte al sofferto cenno di assenso del nipote -e allora vale la pena tentare, Oliver-.

Vite che non si arrendonoWhere stories live. Discover now