Epilogo

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Diciotto anni dopo

Ivy sbadigliando rischiò di inciampare in sua madre che stava seduta per terra con le gambe incrociate tenendo in grembo un grosso libro.
-Mamma, mi hai spaventato- la donna ridacchiò e la figlia inclinò leggermente la testa per vedere che cosa stesse guardando.
Vide due ragazzini abbracciati sulla spiaggia e si accovacciò accanto alla madre. Non aveva mi visto quelle fotografie. 
Una giovanissima Katie sorrideva spostandosi i capelli dal viso, senza troppo successo visto il vento fortissimo, mentre Oliver le teneva il braccio intorno al collo con un ridicolo cappello in testa. 
Sua madre indicò un punto dietro e Ivy si avvicinò a sufficienza per vedere il tredicenne Philip fare versi qualche metro più indietro.
-Credo che fosse due settimane prima che decidessimo di sposarci- osservò la donna passando la punta del dito su quei sorrisi.
Ivy aveva sempre trovato sua madre estremamente malinconica, con quella risata leggera sempre di qualche tono inferiore a quella di chiunque altro e quegli occhi scuri capaci di spegnersi come le più terribili notti senza luna.
Sapevamo, vagamente, dal padre quella che era stata la vita di Katie.
La foto di quella stessa ragazza con la treccia ed un sobrio vestito bianco con una fascia nera catturò la sua attenzione e fermò la mano nervosa della madre. La sposa sembrava quasi vergognarsi dell'obiettivo. Le faceva tenerezza con quello sguardo imbarazzato e le dita che facevano passare i capelli dietro l'orecchio.
Aveva sempre pensato che sua madre possedesse una bellezza particolare, che richiedeva una certa inclinazione d'animo per rssere colta. A volte Ivy avrebbe voluto aver ereditato quei tratti antichi e misteriosi, ma lei era tale e quale a suo padre.
Una delle immagini ritraeva Katie di profilo ed era talmente magra che un brivido le corse lungo la schiena.

Quanto doveva aver sofferto. Quanto dovevano aver sofferto. Lei e suo padre. Li vedeva quegli occhi tristi. Non solo i loro. Quelli di tutti i presenti nelle foto. Le occhiaie di Hazel, Maeve costantemente aggrappata a Philip, Kenna con le trecce, Simon con le mani in tasca e i capelli spettinati e la sua solita espressione vacua che su quel quarantenne delle foto invece pareva del tutto innaturale.
Avevano visto e subito cose che non si meritavano. Quelle foto di una sera di giugno raffiguravano persone con ferite ancora aperte, persone che sarebbero guarite, ma non sarebbero mai state più le stesse.
Sorrise vedendo lo sguardo più luminoso di sua madre mentre suo padre la stringeva con il nodo della cravatta sfatto. Avrebbe voluto anche lei nella vita trovare qualcuno capace di restituirle la vita. 
Sua madre la distolse da quei pensieri -ti ho mai raccontato di quella che si potrebbe chiamare proposta?- Ivy scosse la testa perché non parlavano mai di quel periodo.
-Ero in redazione da ore mentre sarei dovuta andare in non so quale posto "speciale" con tuo padre- mimò le virgolette con le dita ed Ivy scosse la testa, sua madre ironizzava da sempre sugli slanci romantici del marito -arrivò come una furia-.

Oliver sbatté il borsone sul tavolo e incrociò le braccia -non ti vedo da una settimana- Katie allargò proprie con una piuma d'oca in mano che nel movimento schizzò inchiostro sulla prova di impaginazione. Katie imprecò.
Oliver sbuffò scrutando quel ciuffo di capelli tenuto insieme da una cordicella di provenienza indefinita -allora?- lei si grattò la testa pensando ad un modo per pulire -pensi che non mi piacerebbe passare più tempo con te? Ma non so come fare. Tu ti alleni, io lavoro- il ragazzo prese a passeggiare nervosamente torcendosi le mani mentre lei dava leggeri colpi di bacchetta alla carta.
-Vedo due opzioni- osservò fermandosi -o ci lasciamo- alzò il pollice per tenere il conto -o ci sposiamo- l'indice si alzò come se avesse detto una qualsiasi comunissima frase.
Katie inarcò le sopracciglia indignata -preferirei evitare la prima opzione- lui annuì -bene, allora ci sposiamo- recuperò la giacca che aveva abbandonato dopo che aveva avuto caldo per il nervosismo -bene- gli gridò dietro Katie tornando alla sua macchia.

Ivy era a bocca aperta -ho realizzato dopo un po'- -sì, direi- rise Ivy nella cui mente si consolidava sempre più l'idea che i suoi fossero pazzi.
Sua madre si fermò con un tenero sorriso su una foto nella quale erano ritratti lei ed un bambino di poco più di un anno con un ciuffo blu e le braccia grassottelle alzate. Katie accarezzò quel bambino che rideva entusiasta in braccio a lei ancora ragazzina che teneva la testa appoggiata a quella di lui. Era una delle immagini più belle di lei e Teddy e non poté fare a meno di pensare che quel cucciolo che le si addormentava tra le braccia era ufficialmente nel mondo degli adulti. Il suo Teddy era cresciuto, ma lei lo avrebbe protetto per sempre.
Concentrata su quella fotografia non ebbe il tempo di bloccare Ivy prima che togliesse dal nascondiglio in cui era incastrato un polveroso vecchio album. Stava per strapparglielo dalle mani, ma la ragazzina lo aprì e guardò sua madre meravigliata. Katie si rese conto che i suoi figli non conoscevano il volto della loro nonna. Non sapevano niente di lei, non solo della sua morte, ma anche della persona che era. L'avevano rimossa dalle conversazioni oltre che dalle cornici, perfino Tara non la nominava mai, ma Megan era una presenza costante da diciotto lunghi anni, silenziosa sì, ma immancabile in ogni loro azione.
I suoi figli conoscevano ogni cosa della loro zia, gli Wood avevano reagito in modo diverso forse più umano, ricordandola e facendo sì che i nipoti la sentissero vicina. Per i Bell non era stato così, quel fatto al culmine di quasi due anni difficilissimi li aveva spezzati e loro si erano comportati in modo ancora più introverso del solito.
Ivy era turbata. La bambina poi ragazzina che abbracciava cani pastore e alzava pollici insieme alle sorelle immersa nel fango fino alle ginocchia aveva degli occhi completamente diversi.
Nella fotografia con la divisa di Grifondoro composta all'epoca da una gonna molto più lunga di quelle che portavano Ivy e le sue coetanee, si leggeva una didascalia in una grafia sconosciuta che pensò fosse di sua nonna "Katie 1995". La ragazzina aveva una spensieratezza su quel viso volpino che non aveva nemmeno mai intravisto in sua madre, un imbarazzo divertito nel modo di piegare la testa che le era del tutto estraneo. Ivy non credeva che si potesse cambiare così tanto, ma poi un'immagine la fece sussultare, impedì a sua madre di prenderle il libro e gli occhi le si gonfiarono di lacrime alla vista di quel corpo quasi impalpabile, quella pelle quasi trasparente e quegli occhi così astiosi da far tremare. Katie aveva le mani nelle tasche dei pantaloni e la circonferenza delle sue braccia era spaventosa. Ivy non aveva mai davvero saputo cosa fosse accaduto, ma qualunque cosa fosse aveva contribuito a rendere insuperabile la perdita di quella donna con i capelli corvini e gli occhi all'insù che nelle fotografie rideva appoggiata alla spalla di un irriconoscibile Simon o teneva le mani sulle spalle di una contrariata Hazel. 
-Il mondo era terrificante e sono successe cose terribili, nessuno è stato più lo stesso- sbuffò sorridendo alla madre che piantava un cespuglio trent'anni prima -c'è voluto un po'- si fermò -ma credo che ne siano nate cose buone- sospirò per la voce che le si stava spezzando -mi piacerebbe solo che mamma vedesse tutto questo- deglutì senza togliere hli occhi da quelle immagini in movimento -tu e Isaac, Alex, Ced e Ky- strinse le labbra -e Lee e Connor, saprebbe come prendere anche Martin- parlare dei figli le aveva fatto riprendere forza, ma poi scosse la testa -vorrei che vedesse che amiamo e siamo amate, che in tutto quel dolore ho trovato la persona più straordinaria che esista- increspò le labbra -anche se forse lo aveva percepito, come tutto-. Tirò sù con il naso e rimase in silenzio un istante con l'indice sul sorriso di Megan -vorrei sentire di nuovo la sua voce, anche solo per un minuto e vorrei che la sentisse papà-.
Ivy abbracciò la madre, fregandosene del fatto che quella donna non era incline agli abbracci e fu ricambiata da una stretta dalla quale sentì che non si sarebbe mai voluta liberare -ti voglio bene, mamma- mormorò.

Vite che non si arrendonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora