6.

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Altra partenza, altro viaggio infernale.

Per mia sfortuna, stavolta ero capitata in mezzo a Rutenis e a Dantalian, che non avevano fatto altro che darmi fastidio con le loro gomitate, i pezzetti di cibo che si tiravano a vicenda, i calci che si davano l'un l'altro e che, essendo tra di loro, prendevano anche me o i loro divertenti modi di sfidarsi, a suon di rutti, insulti più brutti nella nostra lingua demoniaca, chi era in grado di mangiare più veloce e altre stupidate che mi avevano fatto venire voglia di aprire il dannato finestrino per buttarmi tra le nuvole e sperare di sfracellarmi al suolo come dei cracker.

«Sei arrabbiata, amore mio?». Il demoniaccio superò Erazm per accostarsi al mio fianco, mentre la sua valigia piena di armi e pochi vestiti, come quella di tutti, slittava sopra il pavimento dell'aeroporto.

Per fortuna aveva usato il potere di coercizione sulle guardie e nessuno si era accorto di niente ai controlli di sicurezza. Ogni tanto sapeva essere utile.

«Sì». Mi fermai e sorrisi. «La tua presenza è più urticante di una pànace di Mantegazza».

Fece un sorrisetto divertito e mi prese di sorpresa, spingendomi con la schiena al muro. «Perlomeno mi sorridi, è già qualcosa».

Sbuffai. «Non sorrido di certo a te».

«No?». Sfiorò il mio fianco, lasciato nudo dallo spazio presente tra i pantaloncini e il top che avevo indossato, con le nocche. Brividi di piacere mi fecero tremare le viscere.

Assottigliai lo sguardo. «Anche solo il tuo nome mi fa togliere il sorriso dalla faccia».

«E a quanto pare-». Ammiccò, andando a strofinare il suo naso sul mio collo, fino a fermarsi con le labbra sul mio orecchio. «Anche di accendere qualcosa che si trova più in basso, secondo il mio naso speciale».

Ringhiai. «Fattelo aggiustare, evidentemente ha perso le sue abilità». Lo spinsi via, riprendendo la mia camminata verso l'uscita dell'aeroporto.

Quando superai le porte dell'entrata principale, ma anche dell'uscita, il caldo afoso mi si appiccicò alla pelle come una carezza fin troppo calorosa. Mi legai i capelli in una coda, ignorando il sorriso divertito del demoniaccio che mi era passato di fronte, e camminai verso la macchina che avevamo affittato per non so quanto tempo. Si era occupato Med di ogni cosa, direi anche per fortuna, perché nessuno di noi altri sarebbe stato in grado.

Rutenis si fermò alla mia sinistra, con le mani sui fianchi e degli occhiali da sole neri sugli occhi, quasi uguali ai miei. «Direi benvenuti a Palermo, ma non è un viaggio di piacere».

«Lo sarà quando passeremo dal centro città e andremo a mangiare il pesce fritto. Ho letto su internet i cibi locali che non possiamo perderci». Erazm si leccò le labbra, già affamato, e io sospirai.

Palermo, capoluogo della Sicilia, una città piena di colori, sole, odore di salsedine, buon cibo e persone spettacolarmente simpatiche, da quello che si diceva. Avevamo deciso di atterrare qui perché la casa affittata da Med era tra le campagne di Palermo, che era una città completa di tutto e da lì non ci sarebbe stato difficile spostarci verso le due città che ci interessavano di più, Messina ed Erice.

Fu, come sempre, Rutenis a guidare e ci fermammo in una villetta che si estendeva al centro di un grande, ma più piccolo di quello che aveva acquistato Azazel, giardino privato.

Era gialla, con delle pietre sui muri e delle scale di legno scuro all'esterno, che portavano alla terrazza. All'interno, dopo che Med si prese cura di usare la chiave per aprire la porta d'ingresso, era molto simile alle case vacanza italiane di cui avevo sentito molto parlare. C'era una tv a schermo piatto sopra un mobile di legno, un divano a forma di L di fronte e una scala simile a quella esterna, ma di ferro, che portava al piano superiore. La porta, già aperta, alla destra del divano portava ad una cucina in muratura moderna, sempre scura, ed era abbastanza capiente.

FatumWhere stories live. Discover now