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«Dove stai andando?». Posai il mio sguardo su Erazm, che era appena uscito dalle porte dell'ascensore e mi fissava confuso, con un cipiglio sul volto.

Alzai le spalle, fasciate da una maglietta a collo alto nera, semplice e molto aderente. «Vado a fare una passeggiata per calmare i nervi».

Toccai un punto debole per convincerlo che andava tutto bene, che non c'era nulla di cui preoccuparsi. «Sai che ogni tanto ho bisogno di stare da sola».

Annuì comprensivo. «Quando torni non perdere nemmeno un secondo e vieni a cercarmi. Avrò tutti i pensieri rivolti a te finché non torni qui da me». Girò a sinistra, probabilmente diretto al salotto, dove si trovavano gli altri.

Camminai a passo deciso con i miei stivali di pelle nera, uscendo fuori dall'hotel e chiamando un taxi per poter arrivare alla mia destinazione. In realtà non dovevo fare nessuna passeggiata per calmarmi i nervi del corpo, non dovevo affatto bisogno di stare da sola, ma tutt'altro, avrei voluto rifugiarmi nel posto più affollato solo per ricordarmi di essere viva.

Quando una macchina bianca si fermò davanti a me, entrai per sedermi sui sedili di pelle nera e sospirai.

«Mi porti al Megiddo National Park per favore».
Dissi in ebraico, malgrado ormai la maggior parte degli Israeliani capissero anche l'inglese.

Il signore di mezza età annuì, partendo poco dopo verso il luogo che avevo menzionato. Il centro città lasciò il posto a una strada simile ad una campagna, piena di enormi campi verdi, alberi e strade poco asfaltate.

Quando arrivammo ad un punto poco distante dall'entrata del parco, mi sporsi in avanti.

«Può fermarsi qui». Scesi dall'auto, facendone il giro completo per andare verso il finestrino dal lato del guidatore. Presi i soldi che avevo messo in tasca in fretta e furia qualche ora prima di lasciare la camera, fregandomene se fossero troppi rispetto a ciò che avrebbe richiesto.

«Può tenere il resto».

Mi osservò sorpreso, con quei suoi occhi grigi gentili, e poi sorrise. «Shalom aleichem».

La pace sia con voi.

Ricambiai il sorriso e mi allontanai per permettergli di andare via. «Aleichem Shalom».

Su di voi sia la pace.

Mi incamminai verso il bosco, con il terreno secco e polveroso, incontrando alcuni sassi solitari e poca natura. Gli alberi erano l'unico tocco di verde in quella piccola foresta poco distante dal luogo in cui si sarebbe svolta la battaglia, quella che ci aveva distrutto mentalmente uno ad uno, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento.

Quella mattina mi ero svegliata presto, uscendo dalla camera il più in fretta possibile, già vestita in modo adeguato per ciò che avremmo dovuto affrontare, comprese le armi che mi premevano la pancia, legate ad una fascia nera dentro la maglia. Una volta arrivata al Megiddo, le avrei legate sopra la maglia, in bella vista come un avvertimento. Ero stata occupata a sorvegliare il mio demoniaccio fino a quando non si era finalmente deciso ad uscire dall'hotel per andare a fare ciò che sapevo sarebbe andato a fare, ciò che sapevo da giorni e giorni, ciò di cui ero stata avvisata.

Così lo avevo lasciato andare, sapendo che poi mi sarei presentata in quell'esatto punto, in silenzio e piena di rabbia repressa.

Quando riconobbi la sua schiena rigida, le spalle massicce fasciate da una maglia nera come la mia, le armi legate alla vita che poi le avrei legate io e i suoi soliti stivali di pelle nera, mi ritrovai a sorridere.

Eravamo uguali in quel momento, nel modo più subdolo e crudele.

Sapevo che la mia presenza non gli avrebbe fatto altro che far venire un formicolio alla nuca, oltre che una vampata di calore improvvisa in tutto il corpo, e lasciai che fosse quello ad annunciare la mia presenza.

FatumWo Geschichten leben. Entdecke jetzt