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Sentivo la bocca secca e impastata, un freddo sulla pelle che mi scuoteva le ossa, una sensazione a me molto strana, e qualcuno mi stava accarezzando i capelli sussurrando qualcosa a bassa voce. Forse una ninna nanna.

Poi mi resi conto, concentrandomi sulle parole, che stava cantando.

«But every time I feel you near, I close my eyes and turn to stone». Era la voce di Dantalian, seguita dalle sue mani delicate sulla mia nuca, come se mi stesse districando dei nodi insistenti.

Non riuscii a trovare la forza di aprire gli occhi, di fargli sapere che ero sveglia, che lo sentivo. Ero immersa in una vasca, con qualcosa di ghiacciato intorno, seppur non liquido. Non ero nuda, sentivo addosso la stoffa dell'intimo.

«'Cause now the only thing I fear, Is seeing you′re better off alone, yeah». Iniziò, con una dedizione esemplare, a fischiettare il ritmo della canzone.

Riuscii a spostarmi un po' dalla sua presa e finalmente trovai la luce, aprendo gli occhi per puntarli sul posto in cui mi trovavo: il bagno della casa in Sicilia. Attorno avevo dei spessi cubetti di ghiaccio e il mio corpo rabbrividì in automatico.

«Dantalian?». Gracchiai.

Lasciò la presa per piazzarsi di fronte al mio viso. «Flechazo, come ti senti?».

Diedi uno sguardo generale al mio corpo. «Forse troppo bene per essere piena di veleno».

«Non lo sei più, flechazo». Sorrise sghembo. «Uno stregone ti ha fatto quel che doveva fare e poi ci ha ordinato di infilarti in una vasca piena di ghiaccio. Non ti nascondo che è stato molto difficile, non ne volevi sapere e hai fatto la pazza, ma sono riuscito a calmarti un po' cantando».

Mi irrigidii. «E da dove diavolo è arrivato uno stregone?».

«Siamo andati noi da lui, all'inferno». Sorrise debolmente.

«E come?».

Ridacchiò, come a darmi della stupida. «Abbiamo stabilito un contatto con tuo padre, è arrivato qui e ci ha portato all'inferno con lui».

Non accennavo a cambiare espressione, quindi specificò. «Ci siamo smaterializzati lì».

Annuii. «Mi ha portato Erazm?».

Mi osservò critico. «Sicura di stare bene?». Mi posò una mano sulla fronte. «Ho detto siamo, quindi ti ho portato io».

Inspirai. «Hai fatto questo per me?».

«Sei mia moglie, Arya. Non lascio che qualcosa di mio possa smettere di esserlo».

Ovviamente l'aveva fatto solo per il legame che ci univa, non perché gli interessasse veramente della mia condizione di salute. Non mi aspettavo molto altro.

Mi alzai dalla vasca, stanca di rimanere lì, e mi rifiutai di preoccuparmi del suo sguardo lascivo sul mio corpo mezzo nudo o delle sue mani che, in vicinanza dei miei fianchi, erano in procinto di afferrarmi per sostenermi.

Gli schiaffeggiai la mano più vicina e lo fulminai con lo sguardo. «Non ho bisogno del tuo aiuto».

Una luce infastidita gli illuminò lo sguardo. «Non mi sembrava così durante questi tre giorni, dove hai dormito sul mio petto, ti ho aiutato a mangiare qualcosa, ti ho lavato, vestito e ho fatto il meglio che io potessi fare».

«Nessuno te l'ha chiesto, dannazione!». Sbuffai.

Fu il suo turno di fulminarmi con gli occhi. «Se non ci fossi stato io saresti rimasta sola!».

«Non poteva pensarci Erazm?!».

Si alzò per incombere su di me con il suo fisico possente. «No, perché anche Rutenis è messo male, la sua guarigione è più lenta e ha così tanti squarci nel corpo da sembrare uno scola pasta moderno. Il tuo amico lupo è dovuto rimanere qui come guardia per Ximena, mentre Med si occupava di Rut e io di te, all'inferno, da solo!». Tuonò con rabbia. «E tu non sei neanche in grado di dirmi grazie!».

FatumWhere stories live. Discover now