12.

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Tornare a casa, seppur in fin dei conti non lo fosse, dopo un viaggio era sempre un po' traumatico.

E in particolare se eri costretta a tornare in una appartamento che non sentivi tuo, di cui non riconoscevi l'odore appena varcata la soglia, in cui non sapevi camminarci al buio perché non la conoscevi bene.

E non aiutava di certo il fatto che Med fosse andato nuovamente via, a causa di una commissione che non aveva specificato, e questo mi aveva fatto salire il panico, oltre i dubbi. Mi aveva fatto sentire di troppo, fuori posto quasi, in quella casa così vuota ed estranea, così fredda.

A volte mi sentivo di non appartenere a nulla, a nessun luogo, nessuna emozione, nessuna casa, nessuna persona. Neanche a me stessa.

Credere che uno tra di noi ci stava tradendo pur avendo condiviso un qualcosa come lo stesso obiettivo mi faceva stare male, oltre che farmi arrabbiare, perché non era giusto.

Non era giusto che al mondo ci fosse così tanta cattiveria. Avrei voluto salire su, più su delle nuvole, e chiedere al creatore, a Dio, solo una cosa: perché?

«Oggi facciamo un'altra lezione?». La testa di Ximena spuntò dalla porta della mia camera, i capelli ancora bagnati e una delle tute aderenti che le avevo comprato per l'addestramento.

Annuii, non avendo la voglia di parlare, e lei sparì com'era arrivata.

Me ne pentii subito dopo, perché io ero l'unica amica che lei aveva, dopo che la sua vita era stata non solo cambiata, ma stravolta, dal nostro arrivo.

Dalla conoscenza di quanto altro c'era al mondo, sotto il loro naso, alla vista dei loro occhi, ma che non potevano vedere e sentire perché non sapevano.

Se non sai, non vedi. E se non vedi, non credi.

Un odore forte di caffè mi inondò le narici, proprio qualche minuto prima che la porta si spalancasse e  spuntasse Dantalian. Aveva un vassoio sopra il palmo della mano, con sopra una tazza, un piccolo vaso con un fiore all'interno e uno dei miei cibi preferiti: del gelato tra due biscotti.

Sorrise. «Ti ho portato la colazione».

«Perché?».

Storse il naso. «Deve esserci un motivo in particolare?».

Lo guardai scettica. «Con te sempre».

Mi posò il vassoio sulle gambe nude, visto che indossavo dei pantaloncini, e mi passò il biscotto prima di sedersi sul bordo del letto.

Sospirò teatralmente. «So anche essere gentile sai, ho altre abilità oltre il saper aumentare i tuoi bollenti spiriti».

Sbuffai, mordendo il sandwich di biscotto e il freddo del gelato mi fece venire un lieve brivido, prima di mugolare per quanto era buono. Era agli arachidi, il mio preferito.

«Di bollente ci sarà la tua faccia tra un po' se non la smetti». Mi fermai quando mi venne in mente una cosa. «Chi ti ha detto qual è il mio gusto di gelato preferito?».

«Nessuno». Mi schiarii la voce per fargli capire di non mentire e lui sorrise. «Erazm».

Alzai gli occhi al cielo, sperando che entrambi non iniziassero a coalizzarsi, e sporsi il biscotto verso la sua bocca. «Vuoi?».

«Vorrei qualcos'altro, ma...». Prese un morso e parlò con la voce attutita dal cibo. «Mi accontento».

Lo guardai malissimo. «Ecco, accontentati».

Improvvisamente si sporse verso di me, a pochi centimetri dalla mia bocca, e il suo profumo forte di salsedine e vento, quel tipo di vento che portava la notte durante le vacanze, in cui sei seduta su delle sedie di plastica e osservi il cielo pensando a mille cose diverse, ma sei spensierata.

FatumWhere stories live. Discover now