20.

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Il forte profumo del caffè mi arrivò dritto alle narici, mentre Dantalian mi passava la solita tazza che mi aveva preparato.

Sorrisi, pensando che ormai era una nostra routine fare colazione insieme, mentre lui mi preparava il caffè e qualcosa da mangiare.

Oggi avevamo fatto i pancake e si poteva ben notare dalla farina che era rimasta sui nostri vestiti, dopo una battaglia a suon di "chi si sporca di più perde".

Med e Rut ci avevano osservato tutto il tempo ridendo e scommettendo su chi avrebbe perso dei due, ma alla fine avevamo pareggiato, entrambi sporchi allo stesso modo.

«Buongiorno». La voce assonnata di Ximena mi voltare, mentre si sedeva su uno degli sgabelli con il viso e gli occhi ancora gonfi dal sonno.

Sorrisi. «Hai dormito bene vedo».

«Benissimo». Sbuffò e fulminò Rut, che guardava da tutt'altra parte pur di non guardare lei.

Med staccò il pezzo di pancake dalla forchetta, pieno di cioccolato, e aggrottò la fronte. «Avete visto Erazm? Non lo vedo da ieri sera».

Scossi la testa. «Abbiamo dormito insieme, ma stamattina quando mi sono svegliata non c'era».

Finsi che il mio cuore non si fosse stretto in una morsa e morsi il pezzo di pancake che avevo guarnito con lo sciroppo d'acero.

Rut, che stava accarezzando la testolina di Nike, poggiata sul suo grembo, annuì. «Ho incontrato Er stamattina alle sei, qui in cucina, ed era vestito solo con i pantaloncini. Mi ha detto che stava andando a correre».

Morse il pancake, che aveva riempito di marmellata alle fragole. «Corre sempre per tutte queste ore?».

Med sospirò e mi lanciò un occhiata. «Ultimamente sempre».

«Di solito lo fa per scacciare via i brutti pensieri. Si allena molto quando sta-». Deglutii. «Quando sta male psicologicamente».

Dantalian mi posò la mano sul ginocchio, da sotto il tavolo, e mi sorrise debolmente.

Andrà tutto bene, mimò con le labbra.

E io non potei fare altro che annuire. Mi alzai, posando il piatto e la tazza vuoti in lavastoviglie, e camminai verso la mia camera per cambiarmi e darmi una lavata.

Rut scoppiò a ridere ed io mi voltai, confusa. «Bella maglietta!».

Chiusi gli occhi con forza e sorrisi. Me ne ero dimenticata.

«Ringrazia il tuo amico». Con il mento indicai il demoniaccio e lui si mostrò fiero.

Scossi la testa, salendo le scale con ancora quel sorriso sulle labbra, e pensai a quanto, senza lui, il mio demoniaccio, sarei stata sempre triste e scorbutica.

Era diventato il mio motivo preferito per sorridere e questo, dopo le parole di Erazm della sera prima, mi faceva molta meno paura.

Non avevo più paura di amare per paura di essere resa debole, perché mi ero resa conto di esserlo comunque da quando mi ero legata al primo uomo che avessi mai amato, non mio padre, ma il fratello che il mio cuore aveva scelto.

Con quel pensiero in mente entrai in doccia, lavando ogni parte del mio corpo con rabbia, come se potessi cancellare dalla mia pelle l'amore che provavo per Erazm, farlo evaporare e farlo sparire.

Se solo fossimo in grado di scegliere chi amare sarebbe tutto più facile, ma sarebbe anche meno vero.

Mi avvolsi un asciugamano attorno al corpo e corsi a vestirmi, non volendo fare tardi per non perdere tempo inutile, perché era prezioso in questi giorni. Il tempo era tutto ciò che ci rimaneva, oltre la forza e la speranza. Mi cambiai alla velocità della luce, presi il guinzaglio arancione di Nike e scesi le scale velocemente, con il tacco degli stivali che faceva rumore sul legno.

FatumWhere stories live. Discover now