Deirín dé

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Heart - Sleeping At Last

EPILOGO

Avevo sentito dire spesso che ricominciare era più difficile. Che rimettere le proprie scarpe e far finta di non essere caduti, di non avere le ginocchia sbucciate e sanguinanti, era più complicato della caduta stessa.

Prima non ci credevo. Mi chiedevo come potesse esistere qualcosa di più difficile della fine, ciò che tronca qualcosa per sempre, probabilmente in maniera brusca o dolorosa.

Poi ho capito che se c'è la fine, deve esserci per forza qualcos'altro, perché niente finisce davvero. Si diceva che per ogni fine c'era un nuovo inizio, per me per ogni fine, c'era un nuovo ricominciare.

Io avevo ricominciato grazie all'aiuto e al dono degli dei, dopo essere stata un paio di giorni nella dimensione degli incubi, al fianco di Alu.

Non sai mai quanto possa essere difficile la vita di qualcuno finché non la vivi.

Adesso, seppur in minima parte, comprendevo la sua cattiveria.

Ricominciare era stato difficile, imparare di nuovo a controllare i miei poteri, a combattere, a ricordarmi chi fossi e cosa fossi diventata nel corso degli anni, al fianco di Erazm.

Era come se fossi rinata, mantenendo la mia vecchia anima e il mio vecchio cuore.

Ananke, con i capelli bianchi e lisci che le accarezzavano i fianchi formosi, stretti da un vestito dello stesso colore, mi osservò affascinata. «Tu lo ami?».

Storsi il naso indispettita, ma ci pensai prima di rispondere. Stavo pur sempre parlando con la dea del destino, della necessità inalterabile e del fato.

Avevamo passato un anno più vicine che mai, sentimentalmente, e sapevo che non aveva senso mentire. «Credo che se me lo chiedesse di nuovo, gli direi di sì. Tu credi che lui che possa chiedermelo di nuovo, un giorno?».

Ananke non sembrò neanche calcolare le mie parole, come se non volesse ascoltare niente che non fosse un "sì" o un "no".

Mi prese una mano, stringendola tra la propria, come al solito fredda e liscia come il marmo. Aveva dita lunghe, bianche e affusolate, mani da fata. «Ma tu lo ami, Arya?».

Sbuffai sonoramente e abbassai lo sguardo sulle mie unghie disastrate, visto che l'Olimpo non era ancora provvisto di un centro estetico per mia sfortuna, cosa di cui avevo fatto notare l'importanza a Zeus, sentendomi completamente nuda sentimentalmente.

«Sinceramente? Ho più a cura l'essere amata. Io voglio essere amata, Ananke, lo voglio disperatamente, ma alla fine dei conti scopro sempre di essere nient'altro che un compito, nient'altro che un corpo in bella vista, nient'altro che una donna pericolosa. Io voglio essere più di questo per qualcuno, voglio essere amata per il bene che faccio, per l'amore che so donare, per i miei gusti, i miei dolori».

Ananke sospirò. «Ma questa non è la stessa cosa di amare, mia cara. Si ama perché non possiamo farne a meno, non per essere ricambiati».

Mi portai le mani sul viso. «Lo so, io-».

Per la milionesima volta, come ogni momento in cui il discorso spuntava fuori, ricacciavo indietro quel senso di stupide lacrime che cercavano di uscirmi dalle orbite.

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