19.

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Come si chiama quell'angoscia che a volte ti prende il cuore, quella sottile presenza inquietante che si ferma in un angolo remoto della tua mente, ma tu sai che c'è e questo ti rende nervosa, quel batticuore che arriva quando i pensieri diventano rondini che spiccano il volo e ti ritrovi a volare insieme a loro, cercando di viaggiar più veloce del passato, più veloce del presente, per arrivare lì, nel futuro, e vedere quello che tu sai, che senti, che arriverà?

Doveva per forza esserci un nome per quella sensazione così piena e devastante.

Quella sensazione che non mi lasciava da giorni, mentre viaggiavo con Dantalian per incontrare quanti più re, principi e divinità possibili, per convincerli a stare dalla nostra parte.

Ore e ore, giorni e giorni, erano quelli che avevamo passato insieme e questo lo aveva reso sempre meno gelido alla mia presenza, sempre più caloroso.

Anch'io mi stavo abituando a lui, ma per la prima volta non sentivo che fosse un guaio. Forse era per questo che adesso ci trovavamo sul tetto, durante una notte fredda e pungente, con gli occhi rivolti all'abisso scuro del cielo.

Mi voltai per osservarlo. Aveva un cipiglio sul viso, concentrato ad osservare il cielo scuro come se cercasse di vederci qualcos'altro, le labbra strette in una linea e i capelli bagnati. «Sembra che non ti piaccia guardare la notte e le stelle».

«È così».

Alzai un sopracciglio. «Allora perché vieni sempre con me?».

«Non mi piace lasciarti da sola». Alzò le spalle e la sua mano andò subito ad accarezzare Nike, il suo corpicino peloso appoggiato sulle mie gambe, gli occhietti chiusi e il calore che sprigionava era il mio calorifero naturale preferito.

Passò un po' di tempo prima che parlassi nuovamente. «Perché non ti piace?».

«Non lo so, non mi sono mai preoccupato di guardare la notte in modo così attento. Sono sempre stato attirato dalla luce, forse perché so che non potrà mai essere parte di me».

Alzai le spalle. «O forse perché ti senti di non meritarla. Cerchiamo di avvicinarci e invece, alla fine, scappiamo sempre dalle cose che pensiamo di non meritare».

«Forse». Sospirò. «Resta il fatto che non sarò mai luce e sarò sempre tenebre».

Sorrisi, spostando Nike accanto a me, tra i nostri due corpi, per portarmi le ginocchia sotto al mento e osservare con particolare attenzione la parte del cielo più scura, quella senza stelle. «Lo sei perché non riesci a vedere quanta bellezza risiede anche nelle tenebre. C'è un po' di bellezza in ogni cosa a questo mondo, basta solo trovarla».

«Cosa c'è di bello nell'oscurità?».

Non smisi di sorridere. «La possibilità di non vedere. L'oscurità ti vede per quel che sei, ma fa in modo che tu non possa vederlo. Ti senti solo nel modo più bello, come quando sei seduto con un amico e non c'è bisogno di parlare per sentirti ascoltato».

Voltai la testa verso di lui, ma il suo sguardo era già su di me, dorato e caldo come tutto ciò che c'era in lui. Diceva di non avere luce dentro di sé, eppure quando lo guardavo negli occhi non potevo fare a meno di vedere altro.

«Anche io, i primi tempi dopo essere nata, non accettavo la mia natura. Non accettavo quella parte di oscurità che c'era in me, in netto contrasto con la luce dall'altra parte, dell'altro potere che c'era in me. Poi ho incontrato Erazm e mi diceva sempre una cosa che piano piano mi ha cambiata».

Mi osservò come si osserva un opera d'arte, con amore, cercando di capire la storia dietro quella bella immagine. Senza sapere che per me, lui, era la mostra intera. Se solo avesse saputo quanto era stato in grado di farmi cambiare idea sul desiderare una persona al proprio fianco in questi giorni insieme, fianco a fianco. «Ovvero?».

FatumWhere stories live. Discover now