24.

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Non mi ero mai posta la domanda di cosa si provasse ad essere feriti in un modo non fisico, di come si curassero le ferite che non potevi disinfettare.

Non me l'ero mai posta perché non avevo mai messo in conto di poter provare qualcosa per qualcuno, men che meno di tenerci così tanto da poter essere ferita con tanta crudeltà.

Avevo passato la notte in bianco, senza riuscire a chiudere occhio neanche con Nike poggiata sul petto, e alla fine ci avevo rinunciato. Questo era il motivo principale per cui ero scesa da sola a farmi una tazza di caffè stretto e amaro, più amaro del mio umore, così come piaceva a me.

E sarebbe stata una bugia dire che non mi si era stretto quel muscolo vitale chiamato cuore a ricordare il motivo per cui non potevo più lasciare che fosse Dantalian a prepararmelo.

Per me era ancora tutto un brutto sogno da cui, prima o poi, mi sarei svegliata.

«Buongiorno». Una voce assonnata e rauca mi fece quasi sobbalzare. «Di solito mi aspetti per fare la colazione. Perché oggi no?».

Quanto avrei voluto non dovermi voltare verso di lui e incrociare quei suoi occhi di ghiaccio, evitando così di sentire il mio cuore rompersi per la milionesima volta.

Ed ero sicura che si sarebbe rotto pezzo per pezzo, un granello alla volta, in ogni momento in cui i nostri occhi si sarebbero incrociati e la mia mente mi avrebbe ricordato che per quanto io volessi fargli battere il cuore, lui al contrario voleva che il mio si fermasse.

Mi schiarii la voce e non mi voltai, continuando ad aspettare che il caffè uscisse del tutto. «Non ho chiuso occhio stanotte e avevo bisogno di caffè in quantità industriale. Probabilmente se ti avessi aspettato avrei perso la mobilità delle gambe e il funzionamento del cervello».

Rise, con quella sua voce gutturale e allegra allo stesso tempo. Chiusi gli occhi con forza. «Sai, non mi sarebbe dispiaciuto venirti a trovare a letto». Il suo fiato caldo era troppo vicino adesso.

Posò le mani sui miei fianchi, coperti dalla stupida maglietta che mi aveva regalato, e cercai di non far insospettire Dantalian, continuando ad essere quella di sempre. «Dove tu entri, io esco. Tienilo a mente caro demoniaccio».

Sfuggii alla sua presa salda e andai a sedermi sul mio solito sgabello. Scosse la testa sorridendo e si voltò per prepararsi il suo bicchiere di whisky.

Potei osservarlo nella sua brutale magnificenza, con i boxer blu attillati che non parevano farlo vergognare, la canotta bianca più attillata che evidenziava il suo petto ampio e la vita più stretta, il sedere sodo e le braccia possenti, le stesse tra cui mi ero sentita protetta, ma senza sapere che bramavano il momento in cui mi avrebbero spezzato.

Adesso tutto aveva un altro sapore.

«Vuoi un po'?». Alzò la bottiglia.

Storsi il naso e scossi la testa. «Vivi di whisky?».

«Vivo di te». Ammiccò e si voltò di nuovo, sistemando tutto al proprio posto.

Aprì la credenza e scelse il suo tipo di caffè preferito, quello meno amaro del mio, ne prese una bella cucchiaiata e si preparò la sua tazza di caffè.

Finsi un conato, ignorando il petto che cominciava a dolere per la sua frase. Bugiardo. «Tu bevi alcol e caffè insieme?».

Alzò le spalle. «Come chi beve caffè e spremuta, no?».

«Non direi». Storsi il naso e presi un sorso dalla mia tazza, adesso leggermente più fredda.

Lo vidi sorridere malgrado fosse girato e ammirai le linee che si formavano ai lati della sua bocca, come delle V capovolte e girate, quando sorrideva con quel suo sorriso smagliante e sincero. «Ho una cosa da farti vedere».

FatumWhere stories live. Discover now