28.

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«Vado io!». Urlai ironicamente, visto che nessuno si era preso la premura di uscire dalle loro stanze per andare ad aprire la porta, dopo che qualcuno aveva iniziato a bussare insistentemente.

Aprii la porta di scatto, con immenso fastidio. «Non c'è bisogno di bussare ins-».

Qualcuno mi lanciò qualcosa di liquido sul viso, costringendomi a piegarmi in due dal dolore, con le mani sugli occhi. «Cucù».

Non badai alla voce cantilenante, troppo occupata a pensare alla mia pelle, ustionata e così dolorante da farmi urlare di dolore.

«Arya!». Tuonò Dantalian, ma non riuscivo a vederlo perché il dolore era tutto ciò che sentivo, troppo carole, troppo dolore, troppo tutto.

Finii sul pavimento freddo, rannicchiata su me stessa e cercando di non urlare per far dimenticare della mia presenza a chiunque fosse appena entrato dalla porta.

Sentivo il rumore dei grugniti di Dantalian, delle lame che sbattevano tra di loro e il frastuono di oggetti rotti a causa della lotta.

Qualcuno scese le scale con così tanta rabbia da creare un rumore tra la pianta del piede e il legno, fino a piegarsi su di me. «Ma che cazzo!». Erazm.

«Erazm, brucia! Brucia troppo!». Urlai sull'orlo del pianto, se solo avessi potuto.

Tentò di spostarmi le mani dal viso usando la forza, per poi sibilare alla vista del mio volto deturpato, e lo sentii imprecare sommessamente in latino.

«Non so cosa fare, non conosco il tipo di liquido che ti hanno buttato addosso!». Imprecò nuovamente, accarezzandomi la schiena e riportandomi le mani sul viso per difendermi.

Sentii urlare Rut, che si scontrò contro qualcosa, e il rumore di pelle che veniva lacerata, imprecazioni di vario tipo, Med che diceva a Erazm di lasciarmi a Dantalian per aiutarlo a bruciare qualcosa. E così fece, anche se ero sicura non ne fosse entusiasta, lasciandomi fra le braccia del mio nemico.

Si alzò in piedi, dopo avermi preso come se fossi una sposa, e con la mano mi tenne premuto un fazzoletto con dell'acqua ghiacciata nei punti in cui mi sentivo bruciare. Mi tenne stretta a sé fino al bagno, che aprì e richiuse con un calcio, per poi sedersi sul wc e tenermi sul suo grembo.

Con me ancora seduta lì, non si fece problemi a piegarsi per rovistare nei mobiletti alla ricerca di qualcosa, continuando a imprecare in latino e in lingua demoniaca. Io ero ferma, immobile dal bruciante dolore, a stringere i denti per non farmi vedere debole da lui, anche se sentiva il mio stesso identico dolore.

Lo sentì esultare e tornare a respirare, forse perché aveva trovato ciò che cercava, e tornò composto in pochi secondi. «Ecco».

Sentii aprire il tappo di qualcosa e mi irrigidii.

«No».

Si immobilizzò. «Cosa no, Arya?».

«Non vedo cosa sia, non mi metto qualcosa sul viso che non vedo». Storsi il naso per il bruciore che si era attenuato lievemente.

Emise un verso sorpreso. «Pensi davvero che ti farei del male? Ti ho appena salvato, Arya!».

«Mi hai salvato?». Mi si fermò il respiro.

Non potevo vedere la sua faccia, ma immaginavo fosse corrucciata. «Quando hai aperto la porta e quel bastardo ti ha lanciato un liquido fatto con la panace di Mantegazza, lo ha fatto per renderti indifesa, e infatti non era solo. Erano in cinque, volevano portarti via e quando sono sceso di corsa quando il tuo urlo mi ha allarmato, loro si stavano avvicinando a te con un taser in mano. Li ho uccisi uno ad uno, pugnalata dopo pugnalata, una carne strappata a morsi dopo l'altra e Rut poi li ha finiti».

FatumWhere stories live. Discover now