Capitolo quinto

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Sono appena uscito dall’ascensore e sto per andare via dall’ospedale. Fuori c’è Taylor che mi aspetta in macchina per tornare all’Escala, quando sento vibrare il mio cellulare nella tasca della giacca. Un’occhiata al display prima di rispondere. È Ana. La foto abbinata al suo numero mi sorride, dolcissima.

«Ana, hai chiamato?» Sono così contento che mi abbia telefonato, non riesco a nascondere la gioia nella mia voce, ma il mio sorriso svanisce di colpo.

«Cazzo! Sì che ho chiamato!»

È arrabbiata. Cosa può essere successo? Mi sento mancare l’aria.

«È venuto fuori che sono incinta. Quando cazzo avevi intenzione di dirmelo?»

Cristo! Chi cazzo gliel’ha detto?

«Io… volevo… non ho avuto il tempo…» Mormoro.

«Scusa, scusa, devo andare, Christian. Devo fare un’ecografia. Ciao… piccolo» Riaggancia prima che io abbia il tempo di rispondere. Le sue parole mi fanno gelare il sangue. Sa essere davvero terribilmente velenosa quando vuole e per un attimo la mia memoria ritorna alla sfuriata della mattina successiva alla mia sbornia, quando, urlando, mi ha accusato di comportarmi come un adolescente in crisi.

Respiro a fondo mentre mi passo le mani tra i capelli per tentare di riacquistare l’equilibrio e mi avvio di nuovo verso l’ascensore. Devo andare da lei, mi sono perso la prima ecografia, ma adesso devo esserci. Arrivato davanti alla porta dell’ambulatorio di ginecologia, la apro e mi precipito all’interno. I miei occhi vanno allo sguardo astioso di mia moglie. Tristezza, risentimento, rabbia, frustrazione si agitano in lei. Non ho il tempo di soffermarmi su questo perché la mia attenzione viene richiamata dalla grossa sonda con la quale la dottoressa sta effettuando l’ecografia. È disgustoso. E poi, finalmente lo vedo…

«È quello?» Chiedo.

Vedo qualcosa muoversi su quel monitor; in mezzo alla massa informe c’è un esserino, così piccolo che sembra un fagiolo e pulsa, pulsa, pulsa.

Dio! Sono senza parole. Sembra che il cuore voglia uscirmi dal petto per quanto sono emozionato. Gli occhi mi bruciano a causa delle lacrime che premono per uscire. Dannazione non mi riconosco più, sono così emotivo ultimamente. Non starò diventando come quegli uomini piagnucolosi e senza spina dorsale?

È il miracolo della vita. È mio figlio, nostro figlio. Mio e di Ana. È il frutto del nostro amore.

Sono stato così stupido. Sono stato un vero coglione ad infuriarmi con lei quando mi ha detto di esser incinta. E pensare che il mio comportamento potrebbe essere una delle cause dell’amnesia. Come ha detto mia madre?  “Un meccanismo di difesa”.

Basta, Grey, non andare lì con la testa, concentrati sul presente.

Sì, il presente. Il presente è Ana che non vuole la foto del nostro bambino. Non vuole il nostro bambino. Dice che la gravidanza non l’aiuterà nel processo di recupero della memoria. Il presente è Ana che, dopo la mia appassionata dichiarazione d’amore per lei e per nostro figlio, mi chiede chi sceglierei. Chi sceglierei tra loro due? Cristo Santo! Chi sceglierei? Ana, sempre Ana. Anche se non mi sembra più la mia Ana. La mia Ana non mi avrebbe mai messo di fronte ad un dilemma del genere, un dilemma così... crudele. Salvo poi dirmi che non cambia niente, che deve pensarci e devo andarmene. Fa male. Cazzo, se fa male. Non so che altro dire o fare. Con uno scatto esco dalla stanza e a grandi falcate mi dirigo verso il terrazzo che si trova a questo piano. Ho bisogno di respirare. Ho bisogno di aria. I miei polmoni sono del tutto sgonfiati e riarsi. Quando esco, un vento non troppo freddo mi colpisce sul viso e mi calma un po’. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Ancora e ancora. È così che si fa per regolarizzare il battito cardiaco. Devo imporre un ritmo normale al mio cuore, altrimenti finirà per scoppiare. Mi risuona nella testa una frase che Anastasia mi aveva detto più di una volta: “devi imparare a gestire l’ansia, a capire che non puoi controllare tutto, altrimenti morirai d’infarto prima dei quarant’anni e io ti voglio con me per molto di più”.

Cinquanta sfumature di un'amnesiaWhere stories live. Discover now