Capitolo decimo

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Raggiungo Christian nel suo studio, mentre lui sta parlando al telefono, mi fermo sulla soglia, ma appena lui mi vede mi fa cenno di entrare sorridendo e, dopo aver posato una mano sul telefono, mi chiede se preferisco mangiare in qualche ristorante o a bordo della barca. Dopo qualche istante di esitazione, opto per la seconda possibilità perché non ho voglia di incontrare nessuno. Poi mi domanda cosa voglio mangiare, ma io lascio decidere a lui. Resto in piedi a studiarlo, mentre ordina a chi è all'altro capo del telefono di occuparsi del cibo da far portare, dopo aver elencato dettagliatamente tutto ciò che potrebbe servire. Mi chiedo se è sempre così come in questo momento quando impartisce degli ordini: preciso, efficiente e piuttosto brusco. Quando si alza mi rivolge un sorriso ammaliante. Accorcia le distanze tra di noi e mi prende delicatamente per le braccia.

«Cosa c'è? Mi sembri pensierosa.»

«Ti comporti sempre così con chi lavora per te?» Chiedo.

«Così come?»

«In modo un po' brusco, non saluti, non usi formule di cortesia...»

«Ho l'abitudine di andare subito al dunque e poi... sono pagati per eseguire i miei ordini.»

«Anche con me, prima... prima dell'amnesia, ti comportavi così?»

Scoppia in una risata che io non riesco a capire. Lo guardo confusa e lui se ne accorge.

«Non esattamente, Ana. C'è stato un momento in cui avrei voluto che tu obbedissi alle mie richieste, ma non sei esattamente quella che si dice una donna remissiva. A dispetto della tua dolcezza sei caparbia e combattiva.»

«Abbiamo litigato per questo?»

«Sì, parecchie volte. Anche quando dovevamo preparare le promesse nuziali. Tu ti sei rifiutata categoricamente di fare il voto di obbedienza.»

«Ma allora che rapporto era il nostro?»

«Era un rapporto stimolante ed eccitante... lo è ancora in realtà. Tu sei una delle poche persone che hanno il coraggio di contestare le mie decisioni e le tue continue sfide mi fanno sentire vivo. Grazie a te sto imparando a mettermi in discussione, sto imparando a diventare un vero adulto.»

Rimango senza parole. Cosa posso ribattere ad una tale dichiarazione? Ci guardiamo con intensità, immersi l'una nello sguardo dell'altro, incapaci di parlare o di muoverci. È lo squillo del suo telefono a riportarci alla realtà, Christian guarda il display senza rispondere.

«Possiamo andare: tutto quello che ci serve è pronto.»

Mi prende per mano e ci avviamo all'ascensore.

Appena arriviamo nella zona del porto, Christian trova un parcheggio e dopo aver spento il motore, scende dall'auto e viene ad aprirmi la portiera, offrendomi la mano.

Passeggiamo un po' sul lungomare. Anche se sono un po' a disagio a stare mano nella mano con Christian, mi piace il contatto con lui: sento scorrere tra di noi quella piacevole scossa elettrica a cui non riesco a fare l'abitudine. E poi, dopo non so più quanto tempo, finalmente esco all'aperto, mi godo la leggera brezza proveniente dal mare. Anche se siamo a settembre inoltrato, il sole risplende nel cielo azzurro e un gradevole, lieve tepore si diffonde nell'aria.

«La tua barca è ancorata molto lontano da qui?» Chiedo.

«La 'nostra' barca.» Mi corregge. E io sento un tuffo al cuore. «No, stiamo quasi arrivando. Perché? Sei stanca? Ti posso prendere in braccio, se vuoi.»

«No. Non è necessario. Facevo così per chiedere.» Rispondo, sentendomi arrossire.

Ci addentriamo ancora nel porto fino a quando Christian si ferma di fronte ad un grande catamarano sulla cui fiancata è scritto il nome Grace.

Cinquanta sfumature di un'amnesiaWhere stories live. Discover now