Capitolo ventiquattresimo

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Aspetto qualche istante per cercare di interpretare la situazione, poi anche se ho le gambe ancora tremanti, mi metto in piedi e incollo il mio corpo al suo. Indosso solo le autoreggenti e le scarpe col tacco a spillo, lui ha il torace nudo; premo il mio seno sui suoi pettorali e la sensazione a cui dovrei essere abituata mi sembra divina, rinnova il mio desiderio e mi trasmette ondate di piacere che arrivano fino alla parte più primitiva e istintiva del mio cervello. Lo guardo dritto negli occhi, ma lui sembra non avere il coraggio e abbassa lo sguardo, triste, preoccupato.

«Christian...» Lui sospira e finalmente alza gli occhi fino ad incontrare i miei.

«Scusa... scusami, Ana.»

«Di cosa... di cosa ti stai scusando?» Non riesco a capire.

«Ti ho fatto male. Sono stato brutale e sconsiderato... ho seguito i miei bassi istinti e non ho pensato a te...» Scivola giù in ginocchio e io, dopo un primo momento in cui vengo assalita da stupore, smarrimento, preoccupazione, mi metto giù sulle ginocchia come lui.

«Christian! Non mi hai fatto male!»

«Mi dispiace... non riuscivo a fermarmi... perdonami... non sono stato abbastanza forte, non ho pensato a te o al... bambino. Dio, il bambino...» I suoi occhi sono velati dalle lacrime, sbatte continuamente le palpebre, il labbro inferiore tremolante mentre inspira. Io prendo il suo viso tra le mani e lo costringo a guardarmi in faccia: «Christian, ascoltami. Te l'ho chiesto io. Non mi hai fatto male, non hai fatto male al bambino.» Mi sento come un personaggio dei drammi di Becket, il teatro dell'assurdo, mi sforzo di comunicare con Christian, di trasmettergli con le parole, con gli occhi e con tutto il mio corpo, quello che penso e che sento, ma lui va avanti seguendo la sua convinzione, e tutto ciò che io faccio non intacca minimamente la direzione dei suoi pensieri e delle sue parole.

«Credevo di essere in grado di dominare le abitudini radicate in anni di pratica... quando ti sei risvegliata dal coma, ho promesso a me stesso che, se mai tu mi avessi voluto di nuovo, non lo avrei fatto mai più... che avrei solo fatto l'amore...»

Non sono sicura di avere ben capito: non lo avrebbe fatto mai più. Non vorrà dire... forse... "fottere senza pietà", le parole mi risuonano nella testa.

«Cosa? Cosa non avresti più fatto?» Ma Christian non risponde, fuggendo con lo sguardo da una parte all'altra. «Per favore, rispondimi.»

Emette un sospiro profondo e guardandomi con occhi dolcissimi, mi accarezza il viso con gentilezza.

«Ti amo così tanto... Ana, ti amo così tanto.» Sussurra a malapena, e le lacrime scendono sulla sue guance.

«Christian, non fare così... fammi capire.» Finalmente annuisce. Poi abbassa lo sguardo sul mio corpo, ma non c'è nessun intento seducente, un lampo di rabbia lo attraversa. «Ana, ma tu devi coprirti, non voglio che tu prenda un malanno per colpa mia.» Si alza con uno scatto, mi porge la mano per aiutarmi e mi abbraccia stretta, trasmettendomi il suo calore, poi afferra la sua camicia e me la fa indossare, prendendomi per mano per condurmi in camera da letto. Qui mi porge un pigiama di seta color avorio, molto elegante e prezioso, e lo indosso immediatamente dopo aver tolto le calze e le scarpe.

«Anche tu prenderai freddo.» Gli dico io, cercando di ripagarlo con la stessa cura che lui ha per me. Così gli faccio indossare una delle sue magliette; ora è di nuovo vicino a me.

«Vuoi che ci mettiamo a letto?»

«Non è troppo presto? Non possiamo andare nella sala sul divano davanti al camino acceso?»

«Certo.»

Prendiamo posto sul divano, accoccolati, stretti, il tepore proveniente dal camino e il calore del corpo di Christian mi pervadono piacevolmente e mi calmano. Anche lui è più sereno e so che adesso è in grado di affrontare la discussione.

Cinquanta sfumature di un'amnesiaWhere stories live. Discover now