Chapter 104

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Era sera, mentre eravamo a cena a mangiare della carne i miei fratelli litigavano senza sosta.
Dionisio aveva sedici anni, mancavano pochi giorni al suo test attitudinale, Kris ne aveva diciannove mentre io soltanto tredici.

Mio padre quella sera non c'era per cena, aveva un appuntamento formale con johanna per prendere delle decisioni importanti nell'interno della fazione.

Io ero a capo tavola, dove solitamente prendevo posto quando mio padre si assentava e cercai in tutti i modi di assorbire l'olio in eccesso della pietanza con un pezzo di carta.

Non avevo dei problemi con il cibo, i miei erano soltanto ripensamenti sulla mia corporatura.

«tu mi hai rotto il cazzo!» urlò Kris facendomi sussultare.

Ma non avevo diritto di replicare, volevo farlo, smettere dicendo che stavano rovinando il momento della cena che in teoria avremmo dovuto passarlo in serenità.

«Tu credi di essere il padrone di tutto ciò che ti circonda, ma non vali un cazzo»  rispose di rimando Dionisio.

Un movimento.
Un lancio di un coltello fece urlare mia madre.
Colpì il braccio di Dionisio, l'oggetto era a punta arrotondata e per fortuna, non aveva provocato ferite.

«ma che cosa vi è preso!»

Kris si alzò con uno scatto e spinse Dionisio e successivamente un pugno entró in contatto con il viso del fratello più piccolo lesionandolo parzialmente.

Mia madre si alzò  cercando di dividere i due che se la combinavano di tutti i colori, quando la vidi in difficoltà a dividerli,decisi di aiutarla prendendo Kris dalle braccia e scaraventarlo dall'altra parte.

Volarono pesanti insulti, Kris riuscì a liberarsi dalla mia presa e avventó una sedia per spaccarla addosso a suo fratello.

Dionisio decise di allontanarsi per cercare di calmarsi, si chiuse in bagno.

Kris invece andò nella sua camera.

Odiavo vederli così, non era mai successo una cosa del genere.

Dopo tempo Dionisio ritornò in cucina sorpassando nostra madre per andare in giardino ma qualcosa andò storto.

La maniglia non si girava, era sempre stata diffetatta e allora la spinse rompendo tutti i vetri.

Cosa che provocò un suono assordante che sicuramente avrebbe svegliato persino i vicini.
Mi afrettai a raggiungerlo per raccogliere tutti i pezzi mentre imprecava ad alta voce.

Presi una scopa e spazzai via per pulire meglio gli ultimi frammenti che erano caduti.

Ero stanca di quella situazione, stanca della mia vita.
Mi consideravo sempre la figlia più intelligente, quella più responsabile e ogni volta ne avevo la certezza.

Sentii un forte dolore alla nuca, qualcuno mi tirava i capelli e non aprivo scommesse, era l'unica donna con una presa così salda.

Mi spinse nello sgabuzzino.

«io non c'entro nulla.. Perché?»  mi fece scontrare con dei barattoli di vetro dove lei con tanta passione aveva fatto delle conserve.

Ogni volta era così, doveva sfogare su di me tutta la rabbia che provava in quelle situazioni.
Non lo faceva sui diretti interessati, ma solo su di me.

Forse ero la sua preferita? Avrei voluto che la mia mente l'avesse pensato dal primo istante così che non mi avrebbe fatto piangere il cuore.

Odiavo essere un persona talmente tanto empatica, percepivo tutte le emozioni che provava e le assorbivo come se fossi una spugna, una di quelle rovinate che si utilizzavano per lavare i piatti sporchi.

Era un mix fra la tensione che prova, la tristezza, la rabbia e la profonda delusione che i suoi figli le avevano procurato.

Io non me lo meritavo.
Non mi meritavo di essere schiacciata come un insetto,
Non mi meritavo di essere presa a pugni, a schiaffi, ginocchiate nello stomaco.
Volevo scomparire.

Ma io sorridevo, perché sapevo che picchiarmi le avrebbe fatto stare meglio.
Lo diceva lei: 'ti devo ringraziare, perché  capisci tua madre.. Sai che ne ho bisogno e tu non ti lamenti..
Ho bisogno di sfogarmi e tu ci sei sempre.'

Ero contenta, perché le facevo soltanto del bene.
Una delle due stava bene con sé stessa.

Io invece no, dovevo subire.
In silenzio.. non potevo piangere,, disperarmi, chiedere aiuto o addirittura implorare basta.

Ma sapevo perfettamente che se avessi chiesto aiuto, nessuno sarebbe corso al mio soccorso per tendermi una mano.

Allora non ci sperai in una luce alla fine del tunnel, perché io non la vedevo mai.
Ero intrappolata alla metà, che era sempre la parte più difficile da affrontare...

Desideravo di avere al più presto sedici anni, di allontanarmi dalla fazione e dalla mia paura più grande che mai avrei avuto il coraggio di affrontare.

A scuola domandavano spesso quale fossero le nostre paure e sentivo fobie normali come 'buio' 'altezza' o persino i volatili.

Paure banali, perché era questo ciò che ti aspettavi da dei ragazzini ad un passo della loro adolescenza.

Non  di certo 'la propria madre' da un bambina di soli tredici anni che passava letteralmente l'inferno tutti i giorni della sua settimana.
Era proprio così che la definivo.

A me toccava mentire, nonostante non sapevo raccontare perfettamente le  bugie perché speravo che qualcuno avesse preferito la mia verità.

Cercavo di evitare, mi sentivo in colpa se dicevo una bugia.

«perdonami» mi lamentai Scusandomi per chissà quale cosa mentre ripetutamente venni colpita senza sosta.

Mi ero promessa che da grande sarei andata alla ricerca della felicità, ma una parte remota di me era consapevole che era soltanto fatica sprecata.

Effettivamente cosa raffigurava la felicità?
Una persona? Un luogo?
Non sapevo da cosa partire.
Poiché il significato di quel termine mi era sempre stata negato.
E non potevo fare nulla al riguardo.

Strinsi fra i denti il labbro inferiore chiudendo gli occhi per sopprimere il dolore di un calcio.

Scusa mamma se non ero mai perfetta sotto al tuo sguardo,
Io supplicavo soltanto un briciolo del tuo affetto.

Un altro pugno alla bocca dello stomaco mi fece lamentare ma cercai in tutti i modi di non emettere nessun suono.

Aprii gli occhi e mi ritrovai nel  letto di quattro con un suo braccio a cingermi saldamente la vita.

Era soltanto un sogno, soltanto che era veramente successo.
Lo stavo rivivendo ma la situazione era abbastanza chiara.

Sapevo cosa mi trattaneva qui.

Narcissus.Where stories live. Discover now