64 -Resta con me

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Can

Sento pian piano che si rilassa lasciandosi andare contro la spalliera del divano  finché la sua testa va a poggiarsi sul mio braccio. Distolgo l'attenzione della tv e la guardo solo per rendermi conto che ha ceduto al sonno.
Non posso non approfittarne, sposto il braccio e l'attiro contro il mio petto, la testa che si va ad appoggiare nell'incavo del collo, la sento  sospirare.
E' così che dovrebbe essere, ogni singola sera della nostra vita. Mi godo questo momento di beatitudine approfittandone per accarezzare piano i suoi capelli facendo scorrere le dita tra le lunghe ciocche che le ricadono sulle spalle.
Sospiro anche io appagato di averla vicino, di poter inspirare il suo meraviglioso profumo e sentire il suo respiro leggero sul mio petto. Sui titoli di coda del film mi decido a prenderla in braccio per portarla a letto, quando la metto giù la sento blaterare qualcosa riguardo a dove dormirò. Vorrei tanto potermi sdraiare accanto a lei e tenerla stretta a me  come quell'unica notte in casa nostra, ma so che non è il momento, non è pronta ancora per questo,  ma arriverà il tempo in cui tutto sarà diverso, ne sono sicuro e lavorerò ogni minuto della mia giornata perché succeda al più presto. Mi siedo sulla poltrona e rimango ore a guardarla dormire, mi basta questo, potrei andarmi a sistemare sul divano in salone ma non voglio allontanarmi da lei, mi basta esserle vicino per stare bene.

Quando al mattino riapro gli occhi lei non è più nel suo letto, ma sento l'acqua scorrere in bagno. Mi metto a sedere allungando i muscoli della schiena indolenzita e muovendo la testa da un lato all'altro per allentare il fastidio al collo, la poltrona non è la migliore delle soluzioni ma per il momento va bene così.
Faccio una doccia veloce e comincio a preparare la colazione, quando entra in cucina poco dopo sembra titubante, di nuovo sulle sue ribadisce  ancora una volta che posso tornare a Istanbul ed io, ancora una volta,  le rispondo con fermezza: "Non vado da nessuna parte, resto qui, con te". Vedrà che non ho nessuna intenzione di allontanarmi da lei, né ora né in futuro.
E' così che pian piano stabiliamo una sorta di routine quotidiana, la accompagno ai laboratori,  torno a casa a lavorare  online e al telefono con Deren e il mio sostituto, poi torno a prenderla per andare a fare la spesa insieme e insieme cuciniamo, rassettiamo la cucina e facciamo lunghe passeggiate dopo che lei ha riposato qualche ora nel pomeriggio.
Il mio momento preferito  però è la sera, quando alla luce soffusa della lampada ci ritroviamo a condividere un divano troppo piccolo ed inevitabilmente si addormenta finendo  per crollare tra le mie braccia.
Si lamenta di essere perennemente assonnata, mi sono documentato e ho letto che è normale in questo momento della gravidanza quando gli ormoni sono in subbuglio e le emozioni sono  amplificate. E' per questo che ho deciso di non affrontare alcuna questione riguardante noi e il nostro matrimonio per il momento. Sta molto meglio, gli attacchi di nausea sono molto diminuiti, ha ripreso colore e peso,  ma non voglio stressarla in alcun modo,  ci sarà tempo per le spiegazioni e le scuse. Mi basta che pian piano sembri  si stia abituando a me, è più rilassata, sorride spesso e si lascia andare a parlare senza sosta  con quell'energia e quell'entusiasmo che avevo solo potuto intravvedere nei primi tempi della nostra storia.

E' proprio mentre siamo seduti a cena e stiamo ridendo di un episodio della sua infanzia in cui Muzzafer era rimasto incastrato con la testa  tra le sbarre di ferro di un ponte, che il suo telefono squilla. Abbassa lo sguardo sul display e risponde alla video chiamata  sorridendo.
"Merhaba anne, ciao mamma come state?"
Ascoltiamo insieme la lista di malanni suoi, di Nihat e di buona parte del quartiere finché Mevkibe non chiede.
" E Can? E' molto tempo che non lo vediamo".
Mi lancia uno sguardo strano ma continuando a sorridere risponde.
"E' qui, sta bene, tutto procede bene mamma".
Mi alzo e  mi porto alle sue spalle.
"Merhaba Mevkibe, nasılsın, come stai?"
"Oh figliolo, bene bene stiamo bene. Stavo pensando, perché sabato prossimo  non venite a cena? Portate anche Aziz, è tantissimo tempo che non vi  vediamo".
Sono alle spalle di Sanem ma posso immaginare che sta cercando una scusa per declinare l'invito quindi la precedo.
"Ci farebbe tanto piacere Mevkibe, ma non siamo a Istanbul, ci troviamo a Gölcük, ho un'importante lavoro e starò qui per un paio di mesi quindi Sanem è venuta con me, ma ti prometto che appena torneremo  verremo a trovarvi". Una volta finita la chiamata torno al mio posto e alzo lo sguardo su di lei che mi sta fissando meditabonda, faccio un cenno interrogativo con la testa. "Che c'è?".
La vedo inclinare il capo da un parte  in quel modo così tenero che appartiene solo a lei quando è perplessa.
"Perché hai mentito? Perché hai detto che siamo qui per il tuo lavoro?".
Riprendo a mangiare e intanto spiego. "Perché  ho capito come sono fatti i tuoi genitori, non avrebbero compreso se gli avessimo detto che eravamo qui per il tuo lavoro ed io avevo seguito te, ne sono sicuro".
Continua a osservarmi in silenzio poi dice semplicemente. "Grazie".
Allungo una mano attraverso il tavolo a prendere la sua, non si irrigidisce più quando lo faccio e allora decido di osare e intreccio le dita con le sue.
"Non mi devi ringraziare, siamo una squadra abbiamo detto no? Dobbiamo remare nella stessa direzione". Sorprendentemente non protesta, mi guarda in silenzio a lungo senza parlare finché sono io a chiederle di continuare a raccontare di Muzzafer e della sua testa incastrata.

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