3. MURATA VIVA

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 Mi giravo e rigiravo da ore su quel materasso scomodo senza riuscire a prendere sonno, quando sentii un pianto femminile. Rotolai dal letto e inciampai sui vestiti che avevo lanciato con rabbia in giro per la stanza così spoglia e desolata rispetto alla mia cameretta in California. Raggiunsi a tastoni la porta. Non riuscii a trovare l'interruttore e rimasi al buio. Il legno del parquet era caldo, ma non era sufficiente a farmi smettere di rabbrividire.

Ipotizzai che il pianto sommesso provenisse dalla camera di mia madre. Mi si strinse il cuore. Soffriva molto per la separazione. Poi, però, quando fui vicina alla sua porta notai che dall'interno non proveniva alcun rumore. Bussai, ma nessuno rispose.

Sentii, invece, una risatina allegra provenire dal piano di sotto. Scesi le scale cercando di non far scricchiolare il legno sotto i miei piedi. La luce del camino che padroneggiava nel salotto, illuminava i volti sereni di mia madre e di Ben che stavano guardando un film. Compresi che era la protagonista del film che avevo sentito piangere. La scena della donna che si disperava e di quei due deficienti che ridacchiavano mi fece ribollire di rabbia.

Non dissi nulla e loro non si accorsero di me. Mi voltai arrabbiata e tornai con passo veloce al piano notte.

«Basta, basta.» mormorai chiudendomi la porta della camera alle spalle.

Presi il cellulare e me ne fregai del disturbo che potevo causare telefonando. Volevo parlare con mio padre. Urlare a mio padre, se fosse stato necessario.

Strinsi il telefono con forza, il cuore batteva veloce nell'attesa che mio padre rispondesse. Finalmente, dopo alcuni lunghi secondi, una voce familiare risuonò nell'auricolare.

«Papà... Sono io, Emy. Speravo che potessimo parlare.»

«Ciao Emy, come stai?» La sua voce suonava distante e poco interessata.

Cercai di trattenere le lacrime, presi una profonda boccata d'aria e iniziai a parlare con determinazione. «Non sto bene, papà. Non sto bene affatto qui in Alaska. È freddo, non conosco nessuno e mi mancano moltissimo i miei amici e la mia vita a casa nostra.»

Mio padre emise un sospiro. «Emy, capisci che ho preso questa decisione per cercare un po' di felicità nella mia vita, giusto? Ho pensato che sarebbe stato meglio per tutti noi.»

«Hai preso questa decisione? Ma è stata mamma a scoprirti, altrimenti a quest'ora saresti ancora con moglie e amante.» lo corressi. Poi chiesi: «Felicità? Davvero, papà?»

Mi lasciai andare a un tono di rabbia mista a delusione. Lui rimase in silenzio, ma sentii l'ennesimo sospiro.

«Hai distrutto la nostra famiglia, la fiducia e per cosa? Per inseguire questa presunta felicità con un'altra donna che conosci a malapena? E ora mi stai dicendo che è stato meglio così per tutti? Per tutti, papà?!»

A quel punto, lui si mise sulla difensiva. «Non è proprio così, Emy. Le cose sono complicate e...»

«Complicate? Non riesco a credere che tu stia cercando di giustificarti. Hai tradito la mamma, hai abbandonato noi per una ragazzetta e ora mi chiedi di accettare tutto questo e di adattarmi a questa nuova vita?»

Avevo fatto il pieno di frustrazione e dolore. Non volevo, però, arrendermi.

«Papà,» ripresi. «voglio tornare a casa. Voglio tornare dai miei amici. Non posso stare qui, in questo posto sperduto, mentre tu vivi la tua nuova vita con la tua nuova fidanzata.»

Sentivo dall'altra parte della cellulare il suo arrancare. Le sue scuse risuonavano deboli e insoddisfacenti. «Emy, capisci che non è così semplice. Non posso cambiare tutto per soddisfare i tuoi desideri.»

Alaska, Amore & Orsi MannariWhere stories live. Discover now