18. IL CAPANNO DEL POVERO TOM

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La luce fioca dell'alba filtrava attraverso la finestra della cucina, creando una delicata atmosfera di penombra. La casa era avvolta dal silenzio, rotto solo dal suono insistente del telefono. In un attimo, la chiamata ci buttò giù dai letti. Le mie gambe mi portarono di corsa verso la cucina, sperando che nulla di grave fosse accaduto.

Quando arrivai, vi trovai Ethan già attaccato al ricevitore che parlava con tono concitato. Non aveva perso tempo a vestirsi e, nonostante non facesse certo caldo, indossava solo una maglietta blu aderente che metteva in risalto il suo fisico atletico e le spalle forti. I muscoli si delineavano sotto il tessuto e i raggi di luce che filtravano dalla finestra illuminavano i suoi capelli disordinati. I boxer neri completavano l'immagine rendendolo molto sexy e facendomi sprofondare in una situazione di completo imbarazzo.

«Emma, è grave!» Esclamò Ethan, interrompendo i miei pensieri. «Hanno attaccato la baita di Tom, sembra una vera devastazione! Dobbiamo fare qualcosa!»

Continuai a contemplarlo senza capire cosa mi stesse dicendo.

«Cosa c'è?» Mi chiese stupito allargando le braccia.

«Sei... sei una specie di zombie, tu?» Chiesi cercando un appiglio, anche ironico, per togliermi dall'imbarazzo di non riuscire a non fissarlo.

«Non di recente. Perché? Spiegati e fa veloce che ci aspettano!» Mi sollecitò spazientito.

«Stai qua mezzo nudo e fa un freddo boia. Sei già morto o si tratta di una challenge idiota tra gli scemi del posto? Che ci fai così!»

«Ti crea problemi vedermi in t-shirt e boxer?» Mi chiese con sguardo malizioso.

«Lo crea a te, non a me!» Ribattei sentendomi arrossire mio malgrado. «Rivestiti non sei mica Mister Freeze!»

«Mister cosa...?»

«Chi non guarda Batman non può essere amico mio.» Gli dissi, scagliandogli addosso una felpa trovata distesa su una sedia.

«Per fortuna, non è l'unico ruolo disponibile nella tua vita.» Commentò tranquillo. «E neanche mi interessa.» Aggiunse in un sussurro appena percettibile.

Lo guardai. Era rilassato e divertito, mentre io mi sentivo vittima di un tumulto di emozioni.

Accidenti a te!

Per raggiungere il capanno del povero Tom dovevamo fare diverse miglia in salita perché stava su un versante di una montagna. Per fortuna, la neve era quasi sparita e potevamo camminare in modo più agevole. Arrivammo, comunque, ansimanti alla baita e la prima cosa che ci comparve davanti fu il sederone del vecchio Samuel che stava chino a osservare delle impronte proprio all'inizio del sentiero. Ci fece cenno di proseguire con la mano, senza neanche degnarci di un saluto. Mentre ci avvicinavamo di più al capanno, la scena che si aprì davanti ai nostri occhi ci lasciò senza parole. Quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla e accogliente baita di legno sembrava essere stata scossa da una forza inarrestabile. Pezzi di legno erano sparsi ovunque, come se un tornado fosse passato di lì. Il tetto era quasi del tutto distrutto, con ampie fessure e le travi rotte pendevano minacciose e instabili.

«Era proprio così quando l'ho trovata.» Disse Samuel alle nostre spalle. Il volto segnato dalla preoccupazione.

Ethan annuì in silenzio, osservando attento le tracce lasciate dall'attacco. Subito mi spiegò che i graffi sui muri erano profondi e irregolari, non come quelli lasciati dalle unghie di un orso. Il vecchio pescatore annuiva e aggiunse che sembrava come se fossero stati usati dei pezzi di metallo per strappare il legno e non denti o artigli.

«Non sembrano fatti da un orso kodiak.» Concluse Ethan con voce cupa.

«No, sembrano quasi... artificiali.» Concordò Samuel, con gli occhi pieni di preoccupazione. «Ma chi potrebbe fare una cosa del genere?»

Tom, tornato dalla pesca ai salmoni, si unì a loro e guardò con sgomento e incredulità la sua amata baita ridotta a rovina. «Cosa è successo qui?» Chiese con voce roca.

«Stavo venendo a casa tua e l'ho trovata così, amico mio.» Gli spiegò Samuel. «Ethan sta sospettando che l'attacco non sia stato opera di un orso normale.»

Tom fissò il ragazzo incredulo: «Che significa?»

«Significa che potremmo essere di fronte a qualcosa di più pericoloso di un semplice orsacchiotto mitologico.» Rispose Ethan serio. «Dobbiamo investigare e scoprire cosa sta accadendo.»

I tre uomini si misero al lavoro, esaminando con estrema attenzione le tracce lasciate dall'attacco. La scoperta di pezzi di ferro e metallo confermò i sospetti di Ethan. Qualcuno aveva causato quella devastazione con intenzione

Nel frattempo, la notizia delle lettere minatorie si diffuse in modo fulmineo come il battito di ali di un colibrì tra gli abitanti della zona, suscitando ulteriore preoccupazione. Ethan decise di parlare con tutti coloro che avevano ricevuto le minacce, per cercare di trovare qualche indizio utile. Camminammo molto quel giorno e conobbi davvero tante persone. Facce preoccupate, atteggiamenti tesi e animi irrequieti. Quella non era gente abituata a stare al centro dell'attenzione. Anzi, cercavano di sfuggirle proprio. Ebbi pena per loro.

La sera, mentre il fuoco scoppiettava nel camino, Ethan e Tom discussero delle loro scoperte. «Io penso che questi attacchi siano più da collegare alle lettere minatorie che agli orsi mannari.» Disse Ethan.

«Ma davvero un imprenditore pieno di soldi può mettersi a fare queste cose rischiando denunce penali.» Chiese Tom, scettico.

«Mi pare più credibile della leggenda che si realizza, no?»

«Tuo padre che ne pensa?»

«Ne è convinto anche lui. Appena avrà finito di alzare un po' di polverone tra quei rammolliti cittadini, tornerà con i rinforzi.» Rispose convinto Ethan.

Tom annuì, condividendo la determinazione di Ethan.

«Dove andrai a dormire Tom, non puoi stare in quella casa pericolante?» Chiesi.

«Qua c'è posto, lo sai?» Propose Ethan.

«Grazie, ma ho già accettato l'ospitalità del vecchio Sam.»

Rimasi in silenzio, ascoltandoli parlottare e guardando ipnotizzata la fiamma del fuoco che danzava per noi.

Alaska, Amore & Orsi MannariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora