13. UNA BUONA DOSE DI CORAGGIO

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Mi svegliai lentamente, in un limbo tra mondo dei sogni e realtà, e mi ritrovai con la testa appoggiata sulla spalla di Ethan. Un leggero rivolo di bavetta scivolò dalle mie labbra secche che, in un istante di imbarazzo, pulii rapidamente con un lembo della felpa. Alzai lo sguardo pensando che, per fortuna, lui ancora stava dormendo e non aveva notato la scena disgustosa. Quando ad un tratto percepii il suo sguardo su di me.

«Mi hai beccata!» Farfugliai rossa come un peperone maturo. «Ho appena fatto colazione con un orso mannaro. Gnam gnam» Aggiunsi cercando un po' di supporto nel mio lato ironico.

«Sciocca!» Mi apostrofò ridendo.

Poi lo vidi avvicinarsi al mio volto. Tanto. Troppo. Trattenni il respiro. Il cuore perse un battito. O due.

Socchiusi gli occhi d'istinto. Sentii le sue labbra morbide sfiorare la punta del mio naso e poi sparire come un soffio di vento.

Lo fissai incredula e incantata.

«Perché mi guardi così?» Chiese lui sorridendo divertito. «Ho la Madonna Santissima dipinta nelle pupille?»

La frase di derisione mi colpì come un fulmine facendomi sobbalzare e rispondere con tono secco: «Sì e sta fissando l'Arcangelo Gabriele che dai miei occhi le mostra il dito medio.»

Ethan scoppiò in una fragorosa risata dopo di che soffocando uno sbadiglio, disse: «Beh, è tempo di muoverci.»

Ci preparammo per uscire dal capanno, pronti ad affrontare tutto quello che ci stava aspettando dietro quella porta. Il chiarore del giorno ci aveva messo addosso una nuova energia e una buona dose di coraggio.

Con mio grande stupore e un pizzico di delusione, notai che fuori non c'era niente di strano ad attenderci. Mi ero preparata a combattere e, invece, pensai con disappunto di essere molto ridicola con quell'ascia in mano. Feci per rimetterla nel capanno, ma Ethan bloccò la mia mano.

«Mai abbandonare una possibile arma di difesa.» Mi disse. «Meglio averne tante che nessuna.»

«Giusto.» Concordai. «Cosa stai cercando?»

Ethan stava rovistando ogni centimetro del perimetro intorno al capanno.

«Segni, impronte... qualsiasi cosa che mi faccia capire che c'era qualcuno con noi ieri sera e non ce la siamo fatta sotto per colpa della nostra immaginazione.» Rispose.

Sentivo il bisogno di dimostrare a Ethan che ero una persona razionale e non facilmente impressionabile. Decisi di unirmi alla sua ricerca, sperando di trovare qualcosa che potesse chiarire i dubbi e dissipare i timori.

«Guarda qui.» Esclamò Ethan, piegandosi verso il suolo. «Queste impronte non sembrano appartenere né a un animale né a noi. Sono davvero troppo grandi per essere di un orso.»

Mi avvicinai a lui, osservando le impronte con interesse. Avevano una forma strana e non riconducibile a nessun animale conosciuto. La mia curiosità cominciò a prendere il sopravvento sull'imbarazzo.

«Non sono certo umane.» Osservai. «Non potrebbe essere un orso un po' più grande?»

Mi morsi il labbro inferiore. Dentro di me qualsiasi nostra domanda aveva come risposta orso mannaro, ma non osavo dirlo ad alta voce. Anche solo pensarlo mi faceva sentire ridicola e credulona.

Ethan non rispose. Rimase con la fronte accigliata perso nei suoi pensieri.

«Chissà, forse è un cacciatore o qualcuno che vive qui.» Suggerii ancora con voce incerta.

A quel punto, mi lanciò uno sguardo complice e sorrise. «Potrebbe essere,» ammise «ma dobbiamo essere cauti e continuare a indagare. Non voglio lasciarci sfuggire nessun dettaglio.»

Condividemmo un attimo di silenzio, mentre l'ansia per la situazione svaniva gradualmente e la nostra determinazione si faceva sempre più forte. Avevamo un mistero da risolvere e non ci saremmo fermati finché non avessimo trovato una risposta. Le stranezze di quella notte potevano sembrare frutto della fantasia, ma entrambi sapevamo che c'era qualcosa di più profondo e oscuro dietro tutto ciò che ci era accaduto.

«Basta.» Disse Ethan alzandosi in piedi. «Devo parlarne con mio padre. Puoi scattare un paio di foto a queste impronte con il tuo cellulare? Così gliele mostriamo.»

«Purtroppo no. Il telefonino è morto. Non prende da queste parti.»

Quando arrivammo a casa trovammo i nostri rispettivi genitori in piena crisi di ansia e panico. Ben era attaccato al telefono e dai toni concitati della telefonata stava parlando con lo sceriffo. Mia madre era accanto a lui con gli occhi rossi e gonfi di pianto. Appena ci vide entrare, Ben riattaccò il telefono letteralmente in faccia allo sceriffo e con sguardo truce urlò: « Si può sapere dove cazzo siete stati tutta la notte?!»

Ethan abbassò lo sguardo e io mi spostai dietro di lui. «Stavamo tornando dopo essere stati dal vecchio pescatore.» Iniziò a spiegargli. «Ma a un certo punto ci siamo sentiti spiati, braccati...»

«Oh mio Dio!» Gridò mia madre mettendosi le mani davanti alla bocca.

«Stiamo bene, mamma.» La tranquillizzai.

«Eh...» Incalzò Ben.

«Abbiamo raggiunto un vecchio rifugio che avevamo scoperto noi due, te lo ricordi quello poco lontano dal sentiero...» Rispose Ethan.

«Sì, no non me lo ricordo, ma va avanti. Cosa è successo?» Chiese suo padre spazientito.

«Niente, siamo rimasti lì ad aspettare il giorno. Abbiamo dormito nel rifugio e piano piano i rumori sono scomparsi. La mattina abbiamo trovato delle impronte. Però mi sembrano troppo grandi per essere quelle di un orso.»

Il silenzio calò, spezzato solo dal respiro affannato dei genitori. Ben guardava il figlio incredulo, mentre mia madre di scatto mi abbracciò con forza, rilasciando un lungo sospiro di sollievo.

«State bene, è l'importante.» Disse alla fine Ben con voce calma, ma il suo volto tradiva la preoccupazione. «Avreste dovuto telefonarci.»

«I cellulari non prendevano.» Rispose Ethan abbassando lo sguardo.

«Ora mi organizzo con gli uomini e stanotte faremo una battuta di caccia. La staneremo qualsiasi bestia sia.» Disse Ben risoluto. «Al telefono, poco fa, lo sceriffo mi ha raccontato che al fiume i figli di Hoss sono stati attaccati.»

«Cosa? E stanno bene?» Chiese allarmato Ethan.

«Sì, per fortuna. Sono scappati come piccole lepri e non hanno visto neppure chi li stava inseguendo. Però, il cane che era con loro ha delle ferite profonde.» Ben vide il mio volto terrorizzato e subito si affrettò ad aggiungere: «L'hanno portato da un veterinario in paese, sta bene pure lui. Più tardi telefono a Hoss e mi faccio raccontare meglio sia del tipo di ferite sia l'intera storia.»

«Promettetemi che starete più attenti. Ethan, niente più passeggiate al chiaro di luna, intesi?» Disse mia madre.

«Sì, promesso.»

Ben sembrava ancora arrabbiato, ma il suo sguardo si ammorbidì. «Andate a riposare.» Suggerì con tono più calmo.

Ci dirigemmo entrambi verso le nostre camere, stanchi ma sollevati di essere tornati a casa. Mentre mi sdraiai sul letto, pensai a quanto era stata avventurosa e spaventosa quella notte. Ero grata di avere avuto Ethan al mio fianco. Rabbrividii al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se fossi stata lì da sola. Ancora una volta, a distanza dal giorno della tormenta, Ethan mi aveva protetta.

Alaska, Amore & Orsi MannariWhere stories live. Discover now