Un infortunio fortunato

58 3 4
                                    

Raggiungiamo la mia auto, Chiara ha deciso di venire anche lei al campo, avrebbe ripassato storia e poi avrebbe cenato da me. Le lascio la borsa, le chiavi dell'auto e prendo il cambio, dirigendomi agli spogliatoi. Quando entro mi sembra di riconoscere una voce familiare e spero fino all'ultimo momento di sbagliarmi. Ma, in tutta la sua innata sicumera, si materializza proprio lei. Natalia. È tornata. Faccio finta di niente - decisione non astuta, ma almeno avrebbe salvaguardato la mia integrità fisica e mentale. Purtroppo, lei non si limita a fare altrettanto.

"Brenda, che piacere vederti anche al campo" dice squadrandomi dall'alto in basso. Continuo ad ignorarla.

"Da oggi tornerò ad allenarmi anche io, contenta?" mi limito a voltarmi dall'altra parte, verso la finestra che ridà sul parcheggio. Mi prendo del tempo - più del dovuto - per evitare di dovermi scaldare con lei. Faccio un paio di volte il giro dello spogliatoio, a braccia conserte, come stessi meditando su qualcosa. Sto meditando di non meditare sul dovermela trovare anche nel mio punto di sfogo. Non frequenta il campo da due anni. È un caso che sia tornata ora? Nel momento in cui è arrivato Manuel che, tra l'altro, si allena accanto al campo di atletica?

Quando esco e raggiungo la mia corsia, si sta ancora scaldando. Noto sugli spalti Chiara in compagnia di un ragazzo. Non posso crederci. È lui. Manuel agita la mano verso di me, ma, prima che ricambi il saluto - anche se le mie labbra non riescono a frenare un sorriso incontrollabile che solo lui è capace di far affiorare sulla mia bocca - Natalia si para davanti a me e prende a sbracciarsi verso di lui.

"Brenda" prego perché riesca a reprimere l'istinto di tirarle i capelli e trascinarla via da lì "ti va una gara?" una gara? Con lei? che non si allena da due anni?

"Non ti voglio umiliare... o almeno non più di quanto tu lo faccia da sola" rispondo mentre mi riscaldo.

"Umiliare dici eh? E chi ha detto che io abbia smesso di correre?" il guanto di sfida è lanciato.

"Sarà breve... o hai paura?" avrei dovuto continuare a ignorarla se fossi stata saggia e matura. Forse non sono né saggia né matura o forse sono troppo coinvolta con Manuel per dargliela vinta questa volta e, per quanto avrei voluto non darle la soddisfazione di accettare e fregarmene di quello che avrebbe detto, scatta qualcosa dentro di me.

"Qual è il traguardo?" nel momento in cui la giornata si sta tingendo dei colori crepuscolari, decido di sfidarla, e che sia una volta per tutte.

"Vedo che accetti" constata con un sorriso mefistofelico. Ci posizioniamo in linea di partenza. Martina, la nostra compagna di classe - sua vittima - avrebbe dato il via. Sono cento metri. A segnare il traguardo c'è un ostacolo che abbiamo preso in prestito. Mi concentro su quel punto, la destinazione. Mi isolo da tutto quello che c'è intorno a me, mi dimentico persino di Manuel, di Chiara e del mio avversario. Quando Martina dà il via, inizio a correre, assaporando già la vittoria, visto il netto vantaggio, ma proprio mentre sto per arrivare sento qualcuno emettere un lamento. Mi fermo. Natalia è a terra. Non esito a tornare indietro e raggiungerla.

"Che succede? Ti senti bene?" sembra dolorante, dalle smorfie sul suo volto.

"Una storta" mugugna. Le tendo la mano per aiutarla ad alzarsi, sorpresa che né Gaia né Martina siano andate in suo soccorso. Ma, nel momento in cui sento la sua mano afferrare la mia, mi trascina giù con violenza e, nel tentativo di oppormi, cado a terra.

"Ecco perché sei e sarai sempre una perdente, Brenda" sono le parole che mi sussurra all'orecchio prima che si alzi e riprenda a correre, per dare il cinque a Gaia. Non posso crederci, era arrivata ad essere così meschina? Cerco di rialzarmi ma non riesco a stare in piedi e, istintivamente, ricado a terra. Sento la voce del coach gridare il mio nome, ma la rabbia - più nei confronti di me stessa per averle dato retta - e il dolore alla caviglia ovattano ogni suono.

"Bren" la voce che percepisco improvvisamente vicina non è del coach. Davanti a me si palesa Manuel, seguito da Chiara. Lascia cadere a terra il borsone, lo apre e afferra una felpa che provvede a infilarmi "Dove ti fa male?" chiede. Non riesco a rispondere. È così premuroso...Perché? Non ha motivo di esserlo. E perché non è all'allenamento? Stando agli orari che mi aveva inviato, avrebbe già dovuto iniziare. Poi rammento l'articolo... che ancora non ho letto.

" Bren" mi scuote.

"La caviglia" in quel momento sopraggiunge il coach, con un'espressione a metà tra il preoccupato e il furioso.

"Sarà una distorsione... ma come vi è venuto in mente? Dovrei cacciare entrambe" ci rimprovera setacciandoci con sguardo infervorato. Ha ragione. Natalia se ne sta all'angolo con le sue amiche che dovevano essere al corrente del suo piano. Non fa a meno di togliere gli occhi di dosso a Manuel. E' davvero arrivata al punto di farmi del male per un ragazzo?

"Scusi, non..." sono in imbarazzo, io non sono così. Non le ho mai dato corda e ora mi ritrovo persino con chissà quale infortunio alla caviglia. Non che ne valga della mia carriera da atleta - che è inesistente - ma l'idea che non avrei potuto allenarmi, sfogarmi, dedicarmi del tempo, in cui siamo io, la mia resistenza, il sacrificio, l'aria che sfido, mi fa sentire in gabbia. A stento riesco a frenare le lacrime.

"La porto dal fisioterapista della squadra" dice Manuel sollevandomi tra le sue braccia. Il coach annuisce e io approfitto per adagiarmi sul suo petto e compiangermi per la stupidità di averle dato retta.

"Sì, lo conosco. Mi raccomando, Bren" l'espressione del coach è tagliente. Annuisco con sguardo mortificato. Natalia, a cui rifilo un ultimo sguardo, non sembra soddisfatta, semmai ancor più indispettita. E allora comprendo che lo ha fatto per lui, che non tollera che il campo di atletica sia un posto in cui ci incontriamo. Vuole marcare anche quel territorio. Ma io sono stanca. Non mi piace la competizione e soprattutto non con chi non reputo migliore di me. D'altronde, dal suo atteggiamento, è lei stessa a sottostimarsi.

Altrimenti non avrebbe mai avuto motivo di prendermi di mira. Mi lascio cullare dalle braccia solide di Manuel che cammina deciso verso la palestra in cui si allena, avvertendo persino una punta di senso di colpa, come se non meritassi la sua attenzione come consolazione. Mi sono comportata da stupida e non me lo sarei perdonata facilmente.

Un amore da serie Aحيث تعيش القصص. اكتشف الآن