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Non sono costretta a farlo. Lo so. Non ho nessun titolo per farlo. Lo so. Forse non ho neanche le prove giuste, anzi non ho prove concrete per farlo. Lo so. Ma nonostante questo sono davanti la sede del Raven, stringendo nervosamente le dita intorno al manubrio della mia auto. Con l'intenzione meno buona che ho avuto negli ultimi anni, se ho avuto mai cattive intenzioni. 

Eppure, credo che sia l'unica strada o almeno l'unico segnale che posso dare e me stessa e alla società perché si esiga rispetto per i giocatori, per i loro affetti, per il loro lavoro e per le persone che finiscono per esserne coinvolte. D'altronde non si è trattato solo di un episodio, Cristian mi avrebbe aggredito anche al Wild se non fosse intervenuto Alberto a fermarlo e trattenerlo dal mettermi le mani addosso. 

Faccio un respiro profondo, cercando di soffocare quella vocina del senso di colpa che si sta facendo fastidiosa al ricordarmi che ho nascosto a Manuel il mio intento. Non è il momento di pensarci ora. Scendo dall'auto, prendo la borsa e mi dirigo a passo svelto, più per non farmi vedere da qualche collaboratore dello staff tecnico o giocatore che si sta allenando, che per la mia determinazione. Non ne ho parlato con nessuno e di questo, ora che sto varcando la porta di vetro scorrevole che si apre al mio ingresso, mi sto un po' pentendo.

"Scusi, lei chi è?" è una voce femminile quella che mi distoglie dai miei pensieri e se non l'avesse fatto forse avrei girato i tacchi e me ne sarei andata. È la receptionist, Anita, leggo dal cartellino.

"Dovrei parlare con il direttore sportivo del Raven" sbatte le palpebre più di una volta poi si schiarisce la voce.

"Ma... ha un appuntamento?" dal suo tono capisco che non deve essere normale e comune per loro interfacciarsi con qualcuno che chiede di parlare proprio con il direttore.

"No" ammetto con un sorriso nervoso che mi si stende sulle labbra. Anita continua a sbattere le palpebre sempre più allibita.

"Brenda!" riconosco quella voce. Mi volto e ne ho la conferma. È Mario. Sono contenta di vederlo, mi sembra un volto amico in un contesto a cui non appartengo, almeno non senza Manuel al mio fianco. Il volto della ragazza sembra rilassarsi improvvisamente. Forse deve avermi presa per una folle, magari una di quelle tifose che le prova tutte per intrufolarsi nella sede del Raven.

"La conosci?" chiede rivolta a Mario. Lui fa un cenno di assenso, mi saluta con una pacca sulla spalla e mi accompagna lungo il corridoio che ci fa lasciare alle spalle la reception. È un edificio moderno, le pareti sono alte e grigie. Il primo piano termina in un salone dove un'ampia vetrata illumina l'interno e concede la vista di una Ravenna bagnata dal tramonto.

"Cosa sei venuta a fare? Manuel non si allena oggi" mi mordo nervosamente il labbro inferiore. Non parlo con Mario da quando mi ha tolto la fasciatura, ci siamo intravisti sporadicamente alle partite e ai festeggiamenti per la coppa Italia.

"In realtà, Manuel non sa che sono qui" ammetto.

"Ah" mi osserva sospetto. Io distolgo lo sguardo fingendo di essere catturata dalla vista della città che si propina al mio fianco. Sto per chiedergli di non dire nulla e che me ne sarei andata ma mi interrompe.

"Perché vuoi parlare con il direttore sportivo?" chiede intrecciando le braccia al petto con un sorriso curioso sulle labbra. Arrossisco. E' stato lui a dirmi che è lo stesso staff a non poter farci nulla se tra i giocatori ci sono delle "gerarchie" e che questo li avrebbe formati, per cui confidare le mie intenzioni non so fino a che punto mi aiuterebbe.

"Io..."

"Si dà il caso..." lo ascolto sospetta "che io stia andando dal Dottor Melli proprio adesso. Vorresti accompagnarmi per caso?" per la sorpresa non riesco a rispondere, ma credo che gli occhi che avverto lucidi per la gioia siano abbastanza eloquenti. Prendiamo l'ascensore e in silenzio attendo che prema il pulsante che ci faccia fermare al piano giusto. Quando usciamo, noto un arredamento completamente diverso, più caldo e accogliente che non mi fa più sentire intimidita.

Mario mi accompagna davanti allo studio del direttore, dove leggo l'insegna con il suo nome Dott. Dario Melli e mi introduce come la fidanzata di Manuel Medina. Capisco perché l'ha fatto quando al dirigente si illumina il volto al sentire nominato il suo difensore, per cui ha un debole – Manuel me ne ha parlato.

"Vi lascio soli..." Mario chiude la porta dietro di sé. Ora siamo io e lui. È un uomo affascinante,  non posso far a meno di notare, avvolto da un abito che gli conferisce un'aria distinta, impressione che non viene smentita dai suoi modi garbati che mi fanno sentire tranquilla. Mi prega di sedermi. Io faccio cadere la borsa ai miei piedi e mi accomodo sulla poltrona di pelle. Non ha un'espressione di sufficienza, al contrario, sembra curioso di sentire cosa ho da dire. Porta le braccia in avanti, creando delle sottili pieghe all'altezza dei gomiti nell'abito blu scuro. Le sopracciglia bianche, come i capelli, tirati indietro, si inarcano per poi iniziare a parlare.

"Allora, lei che è la fidanzata, cosa mi dice del nostro Manuel Medina? Un carattere interessante, non è vero?" e sorride tra sé e sé. Non so perché, ma il suo sorriso mi trascina e da adesso mi è più facile confidare tutto. Racconto del nostro incontro, della scuola, dei nostri allenamenti e dei nostri pomeriggi trascorsi a studiare greco, della maturità alle porte, fino a confidargli l'episodio in cui Manuel è stato drogato, della bustina di cocaina che avevo visto nell'armadietto di Cristian, di come mi ha aggredita e del recente inseguimento. Quando mi fermo, il direttore ha cambiato espressine. È improvvisamente freddo e distaccato, tanto da avvertire l'impressione che sia entrata come una folata di vento a raffreddare la stanza.

"Ti ringrazio Brenda..." mi sembra rimasto senza parole, una qualità che non avrei detto gli appartenesse dopo la lunga conversazione che abbiamo avuto "purtroppo mi hai confermato qualcosa su cui Cristian è già indagato, anche per casi di violenza sulle donne... ci sono due processi in corso."

"Non sapevo nulla..." ammetto.

"Cerchiamo di non far circolare troppe voci..."

"Manuel vuole tenermi fuori da queste questioni..."

"Di certo lo fa per il tuo bene, ora dovete concentrarvi sulla maturità" lo prendo come un congedo. Mi alzo e il direttore fa altrettanto.

"Ti ringrazio per essere venuta da me e non aver dato la notizia in pasto ai giornali" mi stringe la mano energicamente e noto dagli occhi scuri che le sue parole sono sincere, piene di riconoscenza e io, al contrario di quanto avessi pensato all'inizio, mi ritrovo soddisfatta e più leggera per quello che ho fatto.

Un amore da serie AWhere stories live. Discover now