Pʀᴏʟᴏɢᴏ 0.1

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L'attimo precedente lo scatto, per Charity, era sempre un momento carico di elettricità, dove le dita prudevano e il cuore faceva qualche battito appena più veloce prima di riprendere il suo ritmo indisturbato. E poi eccolo, l'impercettibile clic a darle quel certo senso di libertà che le portava quell'inconsapevole accenno di sorriso.

La foto rappresentava un ragazzo, questa volta. Era biondo, con i capelli lunghi fino alle spalle che sembravano schiarirsi ancor di più sotto la luce del sole pomeridiano e due occhi azzurri terribilmente espressivi; portava una larga camicia che gli scivolava appena sulle spalle, quasi come una mantella, ma che era ben infilata dentro un paio di pantaloni cachi e se ne stava poggiato a un muro - in origine bianco, ma ormai ricoperto di creatività, con dipinti e murales colorati - con noncuranza, le dita che giocavano con un piccolo fiore mentre lo allungava verso una ragazza dalle guance rosse sotto il suo attento sguardo.

Una semplice scena di vita quotidiana, un possibile amore nascente. O, forse, la foto-denuncia di un idiota - così come Charity pensava il soggetto - che non faceva che sorridere a qualsiasi ragazza incontrasse, le faceva arrossire, dava loro piccole attenzioni e poi andava avanti per la sua strada lasciandosi indietro quella patetica scia di corpi perdutamente innamorati del suo sguardo.

Questo era Logan Oneal, anche detto Ace, secondo la sua visione. Frequentavano insieme il corso di danza contemporanea e, per Charity, non era altro che il soggetto più snervante che avesse mai incontrato.

«Dovresti andarci piano con questi articoli.», mormorò Cookie al suo fianco, seduta su quell'erba verde ad accogliere sul viso i caldi raggi estivi, distogliendo l'attenzione di Charity dalla scena che le si figurava davanti per costringerla a guardarla.

Era una sua amica, la sua unica amica in realtà, e "Cookie" era soltanto un affettuoso nomignolo che dopo anni aveva mantenuto: il suo vero nome era Noemi. Era una stravagante ragazza di origine italiana, dai cortissimi capelli castani sempre spettinati e dai vestiti che si cuciva da sola, seguendo quella silenziosa e stramba competizione che gli studenti di moda avevano tra di loro. Amava gli animali, gli occhiali da sole e i guanti lunghi che lasciavano le dita scoperte. Una ragazza insolita la cui presenza faceva particolarmente piacere a Charity.

Noemi era entrata in quell'Università-Paradiso - come la definivano molti studenti: la Heaven - all'inizio dell'anno scolastico, ormai quasi giunto al termine, e già sembrava aver trovato il suo posto. Posto che, in due anni, Charity non era ancora riuscita a trovare.

Il Campus era enorme e raccoglieva nel suo caloroso abbraccio sei diversi indirizzi: arte, moda, danza, cinema, teatro e musica. Si dedicava in tutta la sua interezza a ogni forma d'arte esistente, coltivava ogni maestria, ogni talento che i pochi studenti riusciti a entrare possedevano, al fine di formare veri e propri dirigenti del loro settore. Offriva loro piccoli appartamenti condivisi, un minimarket, un bar che assicurava pranzo e cena a chi non se la sentiva di mettersi ai fornelli e abbonamenti di ogni tipo ai mezzi per arrivare in città.

Allora, veniva da chiedersi, quale difetto avrebbe mai potuto imperversare su di un posto del genere? Cosa provocava così tanto scetticismo nella testa già di per sé colma di dubbi di Charity? Gli stessi studenti, rispondeva lei. Studenti che di problemi ne avevano fin troppi, studenti con alle spalle storie pesanti da sopportare da soli, studenti spinti dalle famiglie a eccellere per riuscire a entrare in una così prestigiosa università, a superare gli altri, a creare malsane competizioni con i propri amici, studenti che odiavano il loro indirizzo, studenti non sapevano fare null'altro nella vita se non l'arte che gli era stata insegnata. Studenti, pensava guardando i loro volti stanchi quando non c'era nessun altro a osservarli, che non facevano altro che fingere.

Lei voleva impegnarsi a denunciare questa mancanza, voleva che qualcuno oltre lei si rendesse conto quanto la vita sorridente di ognuno di loro fosse un semplice artefatto, che qualcuno offrisse quell'aiuto che mai erano riusciti a trovare in nessun altro. E lo faceva così, attraverso foto, attraverso articoli di ogni genere che poi pubblicava su quel blog che ormai tutti conoscevano, già da un anno e mezzo sotto il nome di Shade.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Where stories live. Discover now