Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 8

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Victor si dimenticò di cercare ancora Julian con lo sguardo e, nel momento in cui Logan, mezz'ora dopo, annunciò la fine di quell'inutile riunione, fuggì dal teatro per rintanarsi ancora una volta dentro la sua camera, davanti a quella tastiera, pronto a far esplodere il cervello di Ezra con quelle due inutili note che non ne volevano sapere di comporre una melodia.

Victor era frustrato perché sapeva suonare, frustrato perché aveva buoni voti, ma la sua mente era bianca come il cielo invernale pronto alla neve. Non aveva inchiostro che gli scrivesse uno spartito, non aveva alcun tipo di immaginazione, non sapeva quale fosse il punto di partenza dal quale sviluppare un pezzo, non conosceva quella sensazione di formicolio che pizzicava la testa quando un'idea iniziava a formarsi nella mente. Voltò la chiave nella serratura e uno scatto gli aprì la porta.

Il respiro di Victor si mozzò nell'esatto istante in cui mise piede in casa, nell'esatto istante in cui le prime, straniere note gli arrivarono all'orecchio. Era una melodia che non conosceva, un perfetto susseguirsi di note che faceva sembrare che tutto il resto delle canzoni ne fossero soltanto un insieme disordinato.

La musica stava parlando, Victor riusciva quasi a sentirla mentre con il cuore in gola si avvicinava alla sua stanza aperta. Stava chiedendo aiuto, stava correndo, erano un insieme di problemi, ansie, angosce, sempre più veloce, sempre più impetuoso. Victor si sentiva senza fiato come in balia delle onde e tornò a respirare quando all'ultimo, tuonante do, la melodia sembrò calmarsi e sembrò chiedere scusa alla propria anima per tutti i fardelli che aveva dovuto portare. Mi chiedo scusa per non essermi lasciato il tempo di guarire.

Ezra muoveva le lunghe dita sulla tastiera di Victor senza rendersi conto di averlo a pochi metri di distanza, teneva gli occhi chiusi e luminose scie sul viso sembravano indicare la presenza di alcune lacrime. Non c'era alcuna tecnica in quei movimenti, nessuna teoria che gli era stata insegnata, era tutto così fluido e completamente privo di senso che sembrava quasi grandioso.

La melodia aveva ripreso il suo ritmo veloce, ma aveva un sapore diverso dalla prima volta, non era più una tempesta di cui aver paura, era una tempesta da poter sfruttare. Maestosa, sembrava che ci fossero più mani a suonarla, inneggiava alla propria forza, alla pace con se stessi.

E poi, dopo l'ultima vittoriosa nota, le mani di Ezra si arrestarono e lui riaprì gli occhi. Rimase interdetto nel notare la presenza di Victor sotto il telaio della porta come la cornice di un quadro a immortalare lo stupore, poi le mani si allontanarono come scottate dai tasti e si vergognò di aver lasciato che qualcuno potesse sentirlo.

«Le sale musica non erano prenotabili.», si limitò a dire lui, che con tutta quella parlantina era riuscito a rimanere senza parole.

Victor lo guardò in silenzio, con gli occhi lucidi, un po' per l'effetto che quella melodia aveva avuto su di lui, un po' per invidia, un po' per rabbia.

«Senti, facciamo come se non fosse mai successo nulla. Va bene?», mormorò Ezra alzandosi irritato e allontanandosi il più possibile da quella tastiera incriminata.

«Aiutami.», fu la risposta di Victor che non aveva ancora mosso un muscolo, trovandosi di fronte a lui che tentava di lasciare la stanza.

«Come?», chiese Ezra confuso, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta.

«Aiutami. - ripeté scandendo le sillabe - Mi hai ascoltato per queste ultime due settimane rompermi i timpani con due note del cazzo, quando tu sapevi fare...questo. Quindi, aiutami.», alzò appena la voce per farsi sentire e le sopracciglia di Ezra scattarono verso l'alto.

«Senti a me non piace suonare, davvero. L'ho fatto così, se vuoi puoi usare questo pezzo per il Festival, non mi interessa.», Victor scosse la testa, determinato a ottenere quelle mani che prima aveva visto muovere con così tanta naturalezza sui tasti.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Where stories live. Discover now