Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 22 ✞︎ [𝑮 𝒓 𝒂 𝒚 𝒔 𝒐 𝒏]

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𝑺𝒂𝒃𝒂𝒕𝒐, 31 𝒐𝒕𝒕𝒐𝒃𝒓𝒆.

Quattro mesi.

Quattro mesi dalla morte di Noel. Ma morte, era un termine che Grayson odiava, una parola cupa, fredda e solitaria della quale si rese terribilmente conscio in quell'unica, terrificante occasione.

Quattro mesi e avevano finalmente smesso di evitare il suo sguardo o di parlargli con quella pietà che gli dava sui nervi. Adesso, se lo vedevano per strada a volte lo salutavano, altre fingevano che non ci fosse e a Grayson andava bene così.

Quattro mesi e nessuno più aveva paura di avvicinarglisi per la troppa somiglianza con il fratello, per l'angoscia di far rivivere quel fantasma che non aveva fatto altro che lasciare i segni della propria estinta presenza. 

Grayson, però, quei segni li portava ancora ben visibili su tutto il corpo, come cicatrici di guerra. Fin da bambino rimase alle spalle di Noel e del suo carisma, fu sempre stato la sua appendice e si lasciava passivamente nutrire dalla sua luce, fu un sassolino all'ombra di un albero e, adesso che l'albero era stato sradicato, dovette subire le ingiurie dei raggi solari dai quali fino a quel momento l'aveva protetto.

Quattro mesi durante i quali aveva quasi smesso di uscire dall'appartamento se non per la spesa e le lezioni, mesi passati in un limbo di apatia all'interno della sua stanza. L'idea di sentirsi come un fantasma in mezzo a un mare di persone vive e lontane dal suo dolore lo stava uccidendo.

Quattro mesi e finalmente aveva smesso di piangere la notte. Aveva iniziato a dimenticare il suono della voce e della risata di Noel, aveva abbandonato le lacrime che i ricordi non facevano che portargli. Aveva parlato con Kimberly e le aveva detto che a volte si sentiva morire, che a volte gli mancava così tanto da sentire il fiato svanirgli dal petto e lei gli aveva risposto che, a volte, succedeva anche a lei.

All'inizio lo aveva innervosito quel suo atteggiamento indifferente che aveva assunto, ma realizzò presto che era soltanto il suo modo di difendersi dalle emozioni, di impedire loro di distruggerle la vita. Le teneva fuori e con esse tutto il resto del mondo.

Grayson si aggrappò, dunque, a quell'idea di Kimberly, a quella sua calma apparente, per poter uscire dall'oceano di angoscia che ogni giorno gli faceva pressione sul petto e gli impediva di respirare. La prima boccata d'aria riuscì a prenderla quando lei lo portò con sé in città e per un pomeriggio smise di pensare al corpo martoriato di Noel sotto i suoi occhi, alle loro mani che si sfiorarono senza afferrarsi e al suo sguardo mentre cadeva nel vuoto. Poi, andò meglio.

Gli mancava Noel, gli mancava come avrebbe potuto mancargli l'aria, l'acqua o il cibo, però non gli impediva più di dormire, non lo accusava per non aver afferrato quella mano e non lo perseguitava ogni minuto di ogni singolo giorno fino a fargli tremare le dita. Grayson si sentiva in colpa anche per questo.

Quella stessa mattina, si svegliò e non pensò a lui. Pensò alla festa, pensò alla riunione, pensò ad accordare il suo violino, pensò al nuoto e a quanto gli mancasse gareggiare in acqua, ma non pensò a Noel.

Si alzò, fece colazione, si lavò, si vestì e uscì di casa. E soltanto quando il vento freddo colpì la sua pelle ancora calda gli venne in mente il fratello che aveva perso, gli venne in mente tutto quello che stavano facendo per lui, gli venne in mente quella vita senza Noel che Grayson avrebbe dovuto affrontare e si sentì in colpa ancora una volta.

Incontrò Kimberly fuori dal teatro, le sorrise, fece qualche battuta e lei rise. Ascoltò passivamente le parole di Logan e parlò con Victor su quel progetto al quale ancora non aveva messo mano per paura di rovinare tutto, con quelle sue capacità neanche minimamente paragonabili a quelle di Noel. Infine, si mise a un tavolo dove alcuni ragazzi stavano cercando di assemblare alcuni scheletri per la festa di quella sera, la prima alla quale Grayson si sarebbe presentato dopo quattro interi mesi.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora