Cᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 21 ✞︎ [𝑱 𝒖 𝒍 𝒊 𝒂 𝒏]

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𝑺𝒂𝒃𝒂𝒕𝒐, 31 𝒐𝒕𝒕𝒐𝒃𝒓𝒆. - 𝑫𝒐𝒎𝒆𝒏𝒊𝒄𝒂, 1 𝒏𝒐𝒗𝒆𝒎𝒃𝒓𝒆.

Erano giorni che Julian continuava a chiedersi per quale motivo fosse ancora al mondo. Sua madre? Ricordava a stento la sua voce. Il teatro? Ormai stava iniziando a sfuggirgli di mano come acqua tra le dita. Allen? Non faceva che deluderlo.

Julian si sentiva come un vaso pieno di schegge, rotto e incollato giusto per far sì che rimanesse in piedi. Si sentiva scollato dal mondo come un fantasma e non aveva più abbastanza motivi per voler restare a infestarlo.

Quel pomeriggio, dopo aver litigato con Allen e dopo aver saltato il pranzo, ricevette una chiamata. Mamma, era apparso sullo schermo. Niente emoji, niente nomignoli, solo Mamma. Trattenne il fiato, perché l'ultima volta che l'aveva sentita fu all'inizio dell'anno scolastico e fu così felice da recitare l'intera conversazione ad Allen.

Sua madre non lo odiava, gli voleva bene e Julian lo sentiva, ma non dava peso a nessuno dei suoi sentimenti e Julian sentiva anche questo. Per questo ogni volta che si sentivano era come una vacanza. Per questo quando a rispondere fu la voce della sua segretaria Julian si sentì morire, sentì gli artigli del tono della donna uscire dal telefono e strappargli il cuore dal petto. Tremò e rispose.

Remì, è morto. Gli disse con quanta più delicatezza possibile.

Remì era il pappagallo di Julian. L'unico amico con cui aveva parlato durante il liceo, l'unico che era rimasto mentre i suoi genitori litigavano, mentre divorziavano, mentre Julian piangeva e, adesso, non c'era più neanche lui.

Remì era molto vecchio, non gli sarebbe comunque rimasto molto tempo, ma Julian in quel momento avrebbe voluto urlare, strapparsi i capelli e lasciarsi morire. Era invidioso, invidioso di Remì che aveva smesso di soffrire di quei suoi problemi di respirazione. Aveva paura, aveva paura per quell'invidia che gli sussurrava lasciva all'orecchio di fare lo stesso. Era arrabbiato, era arrabbiato con sua madre per non essersi preso cura di lui, era arrabbiato con se stesso per non averlo preso con sé, era arrabbiato con se stesso perché...

Grazie, Stacy. Mormorò al telefono prima di riattaccare.

Voleva vedere Allen, aveva bisogno di vedere Allen. Voleva che se ne stesse lì con quella sua terribile espressione ad ascoltarlo piangere, voleva che rimanesse zitto mentre lo stringeva, voleva che tutto ritornasse come prima, ma era troppo tardi perché Julian potesse sistemare da solo la sua vita.

Camminò, quel pomeriggio, camminò per il campus con le lacrime a irritargli il volto con quelle urla strette e affollate in gola, non sapeva dove andare e si trovò di fronte a dei nastri gialli che chiudevano l'ingresso al tetto del Conservatorio. Ci passò sotto e quando provò ad aprire la porta la trovò chiusa a chiave.

Julian, però, ci era stato molte volte lassù con Noel e sapeva come aprirla. Il sole gli fece socchiudere gli occhi già pesanti mentre avanzava, prima che si fermasse sul bordo e vedesse un sassolino spinto di sotto dalla punta delle sue scarpe e rovinare per terra dove gli studenti andavano e venivano senza far caso alla sua presenza.

Sarebbe stato così facile lasciarsi andare, un soffio di vento e Julian sarebbe stato finalmente libero. Si accucciò, con le dita aggrappate al bordo mentre tratteneva le urla che si liberavano invece in singhiozzi. Ti odio, ti odio, ti odio, si diceva. Odio i tuoi capelli, odio i tuoi occhi, odio il tuo corpo. Non puoi morire e basta?

Pensò a Victor, a quel suo innocente approccio alla vita, a quel suo apparente disinteresse verso qualsiasi tipo di amicizia e si allontanò dal bordo. Poi pianse fin quando non gli venne da vomitare e lo stomaco non iniziò a fargli male, fin quando le lacrime smisero di uscire e, a quel punto, si alzò in piedi. Codardo. Si voltò e andò a prepararsi per una festa alla quale non avrebbe voluto andare, a prepararsi per interpretare di nuovo il suo personaggio, per perdere la testa forse per sempre.

𝗦𝗼𝗺𝗲𝘁𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗡𝗲𝘄Where stories live. Discover now