cap XXXVII Ed è pole

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Eppure, nonostante la stanchezza di quella giornata, così fastidiosa e che pareva interminabile, dopo una prima pennichella, il letto mi sembrò sempre più grande, sempre più vuoto. Mi sentivo così piccola.

Passai la prima parte della nottata assolta nei pensieri, ogni tanto controllavo lo schermo del cellulare, nella speranza di qualche messaggio, magari del monegasco.

Erano circa le tre del mattino, quando, finalmente iniziai a prendere sonno, chiusi gli occhi. Stavo per appisolarmi, avvolta nel silenzio di quella stanza così stranamente vuota, quando dei rumori provenienti dalla stanza affianco non mi disturbarono.

Era del cigolio che andava a un ritmo ben preciso, che di tanto in tanto cresceva, accompagnato da uno sbattere, qualcosa batteva addosso alla parete che le due camere avevano confinanti. Poi, quando il ritmo si fece più intenso, voci, anzi, versi, umani provennero dalla camera. All'inizio solo respiri profondi, poi gemiti, principalmente di origine femminile.

Non volevo credere alle mie orecchie.

Charles aveva le qualifiche il giorno dopo doveva essere riposato.

Sentii le orecchie diventare incandescenti dalla rabbia.

"OH MA DAVVERO CHARLES?!" dissi gettando la testa sotto il cuscino.

Sentii i due innamorati fino a circa quindici minuti dopo.

Poi finalmente si fermarono. Pensai a una vittoria, non sapendo che una mezz'ora dopo avrebbero ricominciato.

La mattina di quel sabato arrivò così lentamente.

Mi alzai dal letto barcollante, ero assonnata come non mai.

Gettai pesantemente le braccia nella valigia e afferrai delle cose comode da indossare.

Andai in bagno, mi cambiai e uscii dalla camera per andare a fare colazione.

A passi pesanti camminavo per il corridoio.

"Cécile, vieni a fare colazione con noi?"

Mi voltai lentamente verso la felice coppietta che si teneva mano nella mano.

Charles fece svanire il suo sorriso appena vide la mia faccia stravolta dal sonno.

"Non hai dormito Ceci?"

"Nemmeno voi immagino"

I due si fecero paonazzi in viso dall'imbarazzo.

Io continuai a percorrere pesantemente il corridoio, gli altri due mi seguirono silenziosi.

La colazione fu sostanziosa ma rapida, secondo Charles eravamo già in ritardo.

Mi affogai nel caffè, cercando di riprendermi.

June, riusciva a guardarmi in faccia meno di prima. Non solo mi odiava, ma ora era anche molto imbarazzata nei miei confronti.

Uscimmo dall'albergo un quarto d'ora dopo aver mangiato, giusto il tempo di lavarsi i denti e andare giù al parcheggio a prendere la lussuosa auto.

Stamattina la fidanzata del monegasco non era nemmeno in vena di mettere della musica.

Nonostante io non fossi una persona di indole cattiva, in quella situazione una malvagità e una soddisfazione mi pervasero.

Per non parlare di Charles, nemmeno lui riusciva a guardarmi in faccia. Per un secondo pensai che avevo sbagliato a dirgli quelle e cose, poi pensai anche al fatto che avevo tutto il diritto di dormire.

Arrivati al circuito, Charles si catapultò nel piccolo camerino per cambiarsi e mettere la tuta da gara. Le terze prove libere erano vicine e Charles, che amava più di ogni altra cosa essere in estremo anticipo, era quasi puntuale con gli orari, ciò gli recò un fastidio tale da correre addirittura nel paddock della rossa e attraversarlo nel minor tempo possibile.

Ti amo da qui a Maranello Where stories live. Discover now