➸𝑪apitolo sette

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Lando Norris

"Mate, come va?"

L'Arabia Saudita è la seconda tappa del mondiale, che già mi vede svantaggiato. La quindicesima posizione della settimana precedente ha lasciato in me e nel team delusione e rimorsi, ma non arrendevolezza.

Si tratta solo della prima gara della stagione, che ha valenza trascurabile se vista in prospettiva di un intero mondiale.

Appena arrivato nell'hotel che ospiterà gli interessati della gara, mi ritrovo tra i due ferraristi, atterrati più o meno in contemporanea con il mio volo. Dallo sguardo dello spagnolo deduco di avere una conversazione in sospeso con lui e, facilmente, individuo anche la tematica.

"Questa settimana non c'è Camille?"

Domando con tale superficialità da far sembrare questo quesito come un argomento casuale di conversazione.

"Norris, per caso ci stai provando con mia sorella?"

Mi sfotte poi il monegasco, con la stessa leggerezza con cui è stata posta la domanda. Sembra divertito dalla situazione, ma non posso evitare comunque di agitarmi correndo subito ai ripari. Charles Leclerc, il principino di Monaco e della Ferrari non è conosciuto ne per la sua ira, ne per la sua cattiveria. È descritto da sempre come il ragazzo d'oro, perfetto per affidare la propria figlia. Chiunque farebbe a gara per dare perfino un premio nobel per la pace a questo ragazzo, ma comunque non voglio essere il primo a tentare la sua ottima condotta. Non saprei capace di indovinare la sua possibile reazione alla relazione strana nata tra me e la sorella minore.

"Neanche se fosse l'ultima persona al mondo, in realtà. È una vipera, con un'ossessione per l'ordine che mi da sui nervi. Mi potrebbe incontrare anche dopo una gara, tutto sfatto, e mi obbligherebbe ad aggiustarmi i capelli e quel dannato colletto della polo"

Non è casuale mettere in mezzo la questione dell'ordine. Ovviamente non posso ammettere davanti al secondo genito Leclerc di quanto ciò mi attragga, quanto ciò mi porti ad essere sempre in disordine giusto per sentire le sue mani riordinare il casino che spesso sono.

Nel continuare la conversazione ci spostiamo sui divanetti appartatati della haul, con Carlos che cerca di captare quante più informazioni dai nostri discorsi. Sa per certo che quello che ha visto deve rimanere una questione privata, ma proprio perché il mistero ha il suo fascino vorrà sapere quanto più possibile.

Charles nel frattempo sembra essersi perso nel vuoto, iniziando a fissare un qualcosa posto di fronte a noi che, anche con tanta immaginazione, non riesco ad individuare.

"È una storia lunga e buffa in realtà. Da quando eravamo bambini mamma ha sempre lavorato tanto, iniziando dalla mattina presto tornando poco prima di cena. Camille è sempre stata la piccola e la donna di casa, quindi è stata incaricata da mamma di assicurarsi che io, i miei fratelli e papà uscissimo di casa solo in perfette condizioni. Dietro un grande uomo, c'è una grande donna dicevano entrambe. Così da quando indossavo il grembiule, a quando ho indossato le camicie delle medie mi ha aggiustato il colletto ogni santa mattina. Che poi io ero bravo, poi c'era Arthur che faceva di tutto per farla dannare."

Il suo racconto è pane per la mia immaginazione che crea immagini vero simili di quella piccola bambina che cercava di riportare l'ordine in una casa di solo uomini.

"Ha fatto ogni mattina, per anni, il nodo alla cravatta di papà. Con lui era perfezionista, lo rifaceva anche se ormai eravamo in ritardo pur di farlo uscire perfettamente. Non ha mai allacciato la cravatta a me o agli altri e da quello che so non ha mai più allacciato una cravatta dalla morte di papà"

Qualcosa dentro di me si rompe all'immagine di Camilla, più cresciuta di quella bambina ma non ancora grande come quella che ho avuto l'onore di conoscere, che affronta il lutto impotente davanti alla morte. Si sarà probabilmente sentita persa davanti alla perdita di una delle persone più importanti della sua vita.

"Lei...come ha preso la morte di Hervè?"

Domando con la paura di risultare invadente. Non ho mai dovuto affrontare perdite così importanti e di conseguenza non sono capace di affrontare con la delicatezza necessaria conversazione di questo calibro.

"Se l'è presa con il mondo, probabilmente ancora oggi lo fa. Ha odiato me per essere volato dall'altra parte del mondo pur di gareggiare, ha odiato Arthur per aver ripreso la propria vita con una rapidità disarmante. È rimasta in quel limbo per anni, senza afferrare nessuna delle mani che le venivano date. Non l'ho mai vista piangere, non l'ha fatto al funerale ne i giorni dopo. Le abbiamo proposto varie volte la terapia per elaborare il lutto, ma penso che lei non abbia mai accettato perché pensa che affrontare il lutto la porterà a non stare più male ogni giorno. Ha paura che archiviando il dolore potrebbe fare un torno a papà, ha paura di dimenticarlo."

Charles è provato dalla conversazione, è come se si incolpasse della sofferenza della sorella probabilmente perché non le è stato accanto quanto ella necessitasse. Pensa di averla abbandonata nel momento più buio e, seppur lei non fosse l'unica a soffrire, non ha fatto nulla per tirarla fuori da quel loop infinito.

"Ti vuole bene, lo sai?"

Dico con una sincerità disseminate e soprattutto con una consapevolezza che una persona che ipoteticamente non si scambia più di dieci parole con la ragazza non potrebbe avere. Eppure mi sento di prendere le poche conoscenze che ho su Camilla per elaborare un pensiero che possa consolare il monegasco.

"Lo so"

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