Capitolo 1

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La televisione parlava a vuoto, mentre riponevo le stoviglie con cura nel mobile della cucina, pensando a ciò che avrei potuto fare per concludere la serata. Keri era tornata dai suoi per qualche giorno, così avevo la casa tutta per me. Mi versai un bicchiere di succo di mirtillo, sorseggiandolo mentre guardavo, ora incuriosita, l'intervista ad un noto uomo di spettacolo. Aveva catturato la mia attenzione, ma ben presto la distolsi; mi sentivo sfinita, era stata una giornata intensa tra lezioni e lavoro. Spensi la televisione, sospirando, e mi diressi in salotto, portando con me il manuale di storia, sperando di riuscire a studiare qualche pagina.

Sedetti sul divano ancora un attimo, gustandomi il succo di mirtillo, sentendone le note aspre e quelle zuccherine, per poi appoggiare il bicchiere vuoto sul tavolino di fronte a me. Mi misi a sfogliare il volume, mordicchiando una matita e leggendo un paio di righe, senza troppa voglia. Poi chiusi gli occhi un attimo, cercando di rilassarmi e svuotare la mente.

Mi risvegliai qualche tempo dopo, di soprassalto. Aveva suonato il campanello o era solo un sogno? Attesi vigile per qualche secondo. Il campanello suonò nuovamente. Osservai l'orologio, chiedendomi chi potesse essere alla mia porta a quell'ora di sera. Mi avvicinai all'uscio, cauta, osservando dallo spioncino. Aprii immediatamente. "Abe!" Esclamai, facendolo entrare. "Che ci fai qui a quest'ora?" chiesi preoccupata.

Quella sera io e Abe non avevamo in programma di vederci, così rimasi stupita di trovarmelo davanti, conciato piuttosto male: il naso gli sanguinava e gli aveva macchiato la felpa, e il labbro inferiore era spaccato.

Lui mi guardò imbarazzato. "Scusa Becky, so che è tardi, ma non sapevo dove andare" mi disse con un filo di voce.

"Non preoccuparti Abe, sono sola questa sera" gli dissi cercando di rimanere calma "vieni dentro. Che è successo? Come mai sei in queste condizioni?" gli chiesi, anche se riuscivo a immaginare il motivo. Lo feci accomodare in salotto, invitandolo a togliersi la giacca. Indossava una felpa larga e un paio di jeans chiari, ai piedi le sue adorate converse nere. Si chiuse nel suo silenzio, mentre si torturava le mani.

"Tranquillo, mettiti comodo." Lasciai che si prendesse un po' di tempo, così mi diressi al bagno, dove dal mobiletto della specchiera presi l'alcool disinfettante e il cotone idrofilo. Tornando lo trovai nella stessa posizione, con un'espressione piuttosto pensierosa.

"Non serve, grazie" disse cercando di sembrare sicuro di sé.

"Non dire sciocchezze Abe, ti sanguina il labbro e hai perso sangue dal naso, è tutto rappreso. Ora lasciami fare e smetti di fare il duro. Puoi rilassarti per un attimo, e se vuoi ti ascolto." Lui sospirò rassegnato. Lo medicai meglio che potevo, il naso aveva smesso di sanguinare e il labbro era ferito, ma non tanto da necessitare di punti di sutura, si era solo rovinata la pelle sul labbro inferiore. Lo guardai senza dire nulla, mentre lo ripulivo con cura, cercando di non fargli male. Lui non disse una parola, solo ogni tanto un mugolio sommesso quando bruciava il disinfettante.

"Va meglio ora?" chiesi guardandolo teneramente. "Che sciocchezza" mi rimproverai subito dopo a voce alta "non va affatto bene, guardati, sei sconvolto. Raccontami cosa è successo, ti prego." Gli accarezzai i capelli, che gli ricadevano sulla fronte in ciocche spettinate, e gli cinsi le spalle, cercando di rassicurarlo.

"E' stato mio padre." Disse a bruciapelo "Lo sai quanto sia severo.." continuò, quasi giustificandolo, senza guardarmi.

"Perdonami Abe se te lo dico, ma non penso che sia semplicemente perché è severo. Per quanto lui sia intransigente non penso che meritassi questo trattamento. Sono anni che ti tratta così, e ogni volta incolpi te stesso..." gli dissi schietta, cercando invano il contatto visivo con lui.

"Me la sono cercata, gli ho risposto male... Era ubriaco e mi rende nervoso quando fa così" disse a fatica.

"Lo credo bene" mi affrettai a dire "non avrebbe dovuto farti questo." Sentenziai, accennando con un gesto al suo viso, sentendo il dispiacere dilagare dalla profondità dello stomaco, per poi prendere forma sul mio viso corrucciato.

Pensai che il fratello maggiore avrebbe potuto fare qualcosa per difenderlo, o almeno aiutarlo, ma sapevo che non era mai stato molto protettivo con lui. Comunque domandai, pur sapendo già la risposta.

"Ma Lucas...?"

"Lo sai che Lucas non si mette in mezzo" mi disse cupo, lasciando comunque trapelare la sua delusione. Respirai profondamente, contando fino a dieci, per non fare emergere la rabbia che ora mi vorticava dentro, facendomi sentire una forte oppressione sul petto.

"Hai fatto bene a venire qui." Gli dissi, prendendogli la mano.

"Grazie, ma non voglio disturbarti, perciò ora me ne vado" mi disse serio, facendo molta fatica a finire la frase e distogliendo lo sguardo da me.

"Non parlare di disturbo con me, Abe Tyler. Dove pensi di andare? Vuoi tornare a casa a prenderne un altro po'?" gli domandai sarcastica mentre mi alzavo per andare a buttare il cotone sporco di sangue. Rimase in silenzio finché non tornai dalla cucina, poi mi guardò negli occhi, lasciando che leggessi tutto il suo dolore, che mi colpì come un pugno al centro dello stomaco.

"Non ci torno lì, no. Non ora." Ammise, senza alcun dubbio.

Mi rilassai, sapendo che non sarebbe andato da nessuna parte: "E allora rimani qui, non ti farò passare la notte in giro per la città" conclusi, recitando un atteggiamento intransigente, con le mani piantate sui fianchi.

Sospirando si passò una mano fra i capelli castani, scoprendo la fronte, su cui individuai un livido bluastro. Distolsi lo sguardo, senza sapere cosa dire, con la rabbia che mi ribolliva dentro.

Mi strinsi nel mio cardigan di lana, di almeno due taglie più grande della mia, rabbrividendo. Sedendomi al suo fianco, sul mio vecchio divano color tortora, gli misi una mano sul ginocchio. Lui era talmente teso che quasi tratteneva il respiro. Io avrei dato qualsiasi cosa per vederlo stare meglio.

"Abe, rilassati un po' ora, d'accordo? Puoi respirare, qui sei al sicuro." Cercai di ammorbidire la mia voce il più possibile, come se potessi con la mia voce far scivolare via tutta la tensione che l'opprimeva. Lui sospirò intensamente, buttandosi all'indietro, sullo schienale del divano. Il suo silenzio mi faceva male, ma potevo solo immaginare quali pensieri gli passavano per la testa in quel momento.

Quando mi guardò spalancando i suoi occhi verdi su di me ero ancora indecisa se fosse il caso o meno di abbracciarlo, ma non appena accennai il gesto lui si buttò fra le mie braccia cercando conforto, e rimanemmo stretti in quel modo per lungo tempo.

Alla fine si slegò dal mio abbraccio, alzandosi in piedi. Lo imitai, sorridendogli dolcemente.

"Grazie Becky." Mi disse, lasciando che un timido sorriso gli comparisse sul volto.

"Di niente piccolino" risposi di rimando, sorridendo all'idea di stemperare l'atmosfera con uno dei nostri giochi preferiti. Lui questa volta non rispose a tono, ma lasciò che un sorriso sghembo gli illuminasse il viso.

Recuperando un po' di positività trotterellai fino alla cucina. "Camomilla?" domandai con tono allegro per distoglierlo dai pensieri, mentre estraevo il bollitore dallo sportello della credenza.

"Oh Becky..." protestò "sai che odio la camomilla!".

Mi finsi delusa, poi gli lanciai uno sguardo di sfida: "A casa mia nessuno va a letto senza camomilla dopo una serata simile." Affermai, facendo dondolare il filtro davanti al suo sguardo come per ipnotizzarlo. "E ora fila a farti una doccia calda, signorino, così ti farai una dormita sensazionale." Lui ridacchiò, dirigendosi verso il bagno. Sentivo l'acqua scorrere nella doccia, così mi misi al lavoro per preparare le lenzuola. Approntai un letto il più possibile comodo sul divano, mentre l'acqua si riscaldava.

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