Capitolo 27

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I giorni seguenti trascorsero pigri, come se non avessero alcuna voglia di finire. Io li assecondavo con la mia indolenza: mi ero ripromessa di non pensare, ma era più forte di me. Che lo volessi o meno, qualsiasi attività intraprendessi era destinata a concludersi prematuramente, a causa dei miei pensieri che andavano liberi, diretti al problema che non volevo affrontare.

In aggiunta a questo c'erano i messaggi di Jude, che sembrava aver intuito la mia distanza emotiva. Più i giorni passavano, più sentivo che quello che avevo provato insieme a lui in quei giorni, così piacevoli, non era altro che un potente anestetico. Le sue attenzioni erano state un valido alleato per non pensare al dolore che provavo, alle domande che mi assillavano. Ero consapevole di averlo in qualche modo usato e illuso, una sensazione che mi faceva odiare me stessa, nonostante le rassicurazioni di Keri, per la quale nessuno era condannabile alla nostra età per aver avuto una storiella estiva. Non riuscivo a capire come la mia amica potesse affrontare con tanta leggerezza la questione, anche se mi aiutava a vederla da un'altra prospettiva, alleggerendo di un po' il mio senso di colpa.

Sapevo che non avrei dovuto aspettare ancora. Dovevo assolutamente lasciarlo.

Sconfortata dallo stato d'animo che mi pesava sul cuore, guardavo il telefono già da due giorni, senza decidermi a chiamarlo. Dire a voce quello che pensavo sarebbe stato troppo difficile per me, anche se sapevo che era più giusto nei suoi confronti. Così, trascinandomi alla scrivania, aprii il computer portatile, accedendo alla casella di posta elettronica.

Fare quel passo era più complicato di quanto non fosse stata ovvia la decisione che aveva preso forma nei miei pensieri. Tuttavia, appellandomi al senso del dovere che spesso mi tormentava, riuscii a mettere in ordine le idee.

Sul foglio bianco della schermata iniziai la lettera più volte, cercando di dargli un tono più sincero possibile, anche se la consapevolezza che mi stavo comportando in modo vile rendeva penoso il mio operato.

Dopo svariati tentativi, optai per una spiegazione sintetica ma esaustiva, in cui mi scusavo per il modo immaturo con cui gli stavo comunicando questa delicata decisione, ma anche per averlo illuso. Conclusi la lettera ringraziandolo per i bei momenti che avevamo trascorso insieme.

Subito dopo aver inviato la mail, mi insultai ripetutamente per la mia stupidità, abbassai lo schermo del portatile e, con l'intento di non impazzire, mi imposi di non pensarci più.

Girovagavo per casa in preda alla nostalgia, ma alla fine decisi di immergermi in quell'emozione, come se fosse una dolorosa ma necessaria terapia d'urto. Estrassi dall'armadio la scatola piena di fotografie che avevo scattato negli anni. Avevo un quantitativo enorme di scatti di Abe e delle nostre giornate, a scuola, con alcuni amici di vecchia data, amici che ormai non frequentavo più.

Mi accorsi che nella mia vita avevo puntato tutto su poche persone, in particolare su Abe, e mi sentii improvvisamente vuota. Piansi la mia frustrazione su quelle foto che ci ritraevano nella nostra innocente amicizia, quando avevamo dei pensieri che ci preoccupavano, ma che non potevano dividerci.

Alla fine richiusi la scatola, tenendo da parte una foto di Abe che sorrideva distratto, senza rivolgere lo sguardo all'obbiettivo. Lo trovavo poetico e dolce in quella posa. Non avevo idea di cosa mi spingesse a tenere quella foto con me, ma in quel momento sentii che era l'unico contatto con quel passato di cui avevo tanta nostalgia, un passato che mi dava certezze e mi faceva sentire al sicuro.

"Pronto? Pianeta Terra-chiama-Becky!" Keri mi fissava con insistenza, riportandomi alla realtà. Non mi ero accorta che fosse arrivata, cogliendomi intenta a fissare quella fotografia nel cortile sul retro di casa.

"Ciao, Keri!" dissi infine, un po' impacciata, senza tentare di nasconderle la foto. Fortunatamente lei la ignorò, stendendosi sulla sdraio e sospirando rumorosamente.

"Che bello qui dietro. Perché non ci veniamo mai?" mi chiese improvvisamente.

Feci spallucce. Passavo più tempo in questo giardino, quando ero piccola. Accennai un lieve sorriso, ripensando ad Abe che si arrampicava allo steccato, raggiungendomi per giocare insieme.

Keri mi scrutava con aria indagatoria: mi sembrava preoccupata per me, come se pensasse che non potevo cavarmela da sola. Ovviamente non la biasimavo per questo, a volte avevo l'impressione che non ne sarei uscita facilmente. Ma ormai avevo fatto delle scelte e questo aveva in parte alleggerito il peso che gravava sui miei pensieri.

"Becky. Ti ha risposto Jude?" chiese lei guardandomi, ora apprensiva. Le mostrai il cellulare, dove un messaggio a caratteri cubitali diceva: Non puoi lasciarmi così.

Sapevo di aver sbagliato a non dirglielo a voce. Gli avevo risposto che mi dispiaceva di non avere avuto il coraggio di affrontarlo di persona e speravo che capisse. Non aveva più risposto.

"Forse si è rassegnato..." abbozzò Keri, restituendomi il telefono.

"Penso di sì. Insomma, non gli ho dato troppe speranze, no?" domandai retorica "E comunque ha tutti i motivi di essere arrabbiato, come ho potuto pensare di mollarlo con un'e-mail?" le domandai, cercando l'assoluzione.

"Oh, Becky. Ti fai troppe paranoie. Quanta gente molla addirittura con un SMS a questo mondo? Non è mai morto nessuno per questo. Jude non è uno stupido, probabilmente aveva già colto dei segnali, e comunque se ne farà una ragione. Smetti di sentirti in colpa, non si possono obbligare le persone ad amarsi." Mi disse confortandomi con quell'aria sempre leggera e frizzante che le invidiavo.

L'abbracciai, piena di gratitudine. Lei sorrise, staccandosi infine da quell'abbraccio.

"Dai tenerona, ora andiamo a divertirci! Io propongo un pomeriggio in piscina! Fa troppo caldo qui..." si lamentò, sbuffando e sventolando la mano davanti al viso come se fosse un ventaglio.

Sorrisi all'idea, avevamo bisogno entrambe di un po' di relax. In piscina c'era parecchia gente, che cercava refrigerio in quella giornata afosa. Io e Keri ci godemmo il sole, comodamente sdraiate sui nostri teli colorati, per poi tuffarci nell'acqua fresca.

We were friendsWhere stories live. Discover now