Capitolo 15

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Il sabato seguente io e Keri avevamo caricato la sua auto come se dovessimo partire per la Groenlandia. Dopo aver stipato le valigie nel bagagliaio, ci scambiammo uno sguardo alla Thelma e Louise allacciando le cinture. Eravamo pronte per tornare a casa.

Non ci sarebbe voluto molto, quindi eravamo partite nel pomeriggio, con tutta calma. La radio accesa a tutto volume ci faceva compagnia, mentre l'aria ci rinfrescava passando dai finestrini completamente aperti.

Nell'ultimo periodo Abe non si era quasi fatto sentire, così mi decisi a mandargli un SMS.

Che combini Abe? Sto tornando a casa, finalmente. Saremo più vicini. Ho aspettato tanto questo momento. E poi almeno per quest'estate non sarai più costretto a farti tutta quella strada in auto per vederci!

Riposi il telefono nel cruscotto, avrei controllato più tardi. Intanto ci facemmo trasportare dalla musica: cantammo a squarciagola tutte le canzoni che ci piacevano, godendoci appieno quella sensazione di libertà.

A metà strada decidemmo di fare una breve sosta ad una stazione di servizio. Lì guardai il cellulare, ma di Abe nessun segno. Misi il telefono in tasca, un po' delusa, ed entrai per comprare qualche snack. Speravo che una sacrosanta dose di cioccolata mi avrebbe tirato su il morale. Ne condivisi un po' con Keri, anche se non ne aveva bisogno: era così allegra e spensierata da farmi quasi invidia. Non faceva altro che parlarmi di Philip, soprattutto del fatto che sarebbe venuto a trovarla, il che la rendeva ancora più felice. Era così bello vedere la mia più cara amica così raggiante e piena di speranze, che non la annoiai con le mie preoccupazioni.

Mi lasciò davanti a casa con le mie valigie. Ci abbracciammo serene, dal momento che ci saremmo viste il giorno dopo per andare a fare un po' di shopping estivo.

Mia madre uscì ad accogliermi, mostrando un insolito entusiasmo, che però mi fece piacere.

"Rebecca, tesoro! Bentornata!" Mi abbracciò stretta e per un attimo pensai che fosse strano tornare nella casa in cui ero cresciuta, accolta come un'ospite. Per tutta l'adolescenza non avevo avuto molta confidenza con mia madre, ma ora ero sinceramente felice di vederla.

"Grazie mamma, mi sei mancata." Mormorai, stretta nel suo abbraccio. Mi aiutò a trascinare dentro casa i bagagli, che sistemai nella mia camera. Rimasi a guardarmi intorno per qualche momento: la mia stanza era sempre la stessa, come se non ci fossero più entrati da quando me ne ero andata. Un po' ne fui grata, almeno questo spazio era rimasto il mio spazio, un luogo dove potermene stare da sola se fosse stato necessario. E prima o poi sarebbe stato necessario, ne ero sicura.

Mi preparai per farmi una doccia. Lasciai che l'acqua fresca scivolasse sulla mia pelle, facendomi smarrire tra i miei pensieri. Ora che ero a casa dovevo dare un significato a tutte le emozioni che provavo, prima di impazzire definitivamente.

Comoda in una t-shirt di cotone e pantaloncini ricontrollai il mio telefono, senza grandi risultati. Lasciai perdere e raggiunsi mia madre che stava preparando la cena. Provavo una sensazione insolita nel tornare a quella dimensione familiare dopo tutti quei mesi di lontananza non solo fisica, ma psicologica. Mi sentivo a mio agio, ma allo stesso tempo mi sembrava di essere troppo cambiata perché passasse inosservato. Indubbiamente non ero più la ragazza che ero prima di andarmene. Aiutai a pulire le verdure per preparare l'insalata. Mio padre sarebbe arrivato solo per cena, anche se non ero molto contenta all'idea di vederlo. Nonostante questo, quando varcò la soglia di casa andai ad abbracciarlo. Per un attimo lo vidi solo come un uomo, che aveva portato avanti la sua vita e la famiglia, un uomo come tanti. Mi sentii molto cresciuta e provai anche a perdonare le sue mancanze passate, riconoscendogli tutta la sua imperfetta umanità. Anche io ero stata una figlia adolescente e ribelle, dopotutto. Lo abbracciai, salutandolo. Lui non si sbilanciò troppo.

"E così sei tornata?" mi chiese allentandosi la cravatta, con un tono che doveva senz'altro essere una sorta di esclamazione di gioia per lui, ma che sembrò più che altro una domanda retorica. Per un attimo mi sentii nuovamente oppressa dal suo sguardo giudicante, come se non avesse più nemmeno il bisogno di parlare male delle mie scelte e di sentenziare cattiverie sulla mia vita per farmi sentire totalmente sbagliata. Inspirai forte, scacciando quella spiacevole sensazione.

"Così pare." Commentai, sollevando le spalle impercettibilmente. Cenammo insieme, mentre il consueto silenzio mi investiva insieme a tutti i ricordi dolceamari del passato. Sentii una forte nostalgia di Keri. A cena con lei non si riusciva nemmeno a mangiare dalle risate che faceva fare. Più tardi mi affacciai alla finestra della mia camera. Da lì non potevo vedere la casa di Abe, che si trovava dalla parte opposta. Pensai di fare una passeggiata dell'isolato, per schiarirmi la mente e digerire. Ma anche, dovevo ammetterlo, con la speranza di forzare il caso e incontrare il mio migliore amico.

Uscii fuori in cortile, ma alla fine non realizzai nessuna delle tre possibilità a cui avevo pensato. La cena mi era rimasta sullo stomaco, ero triste e confusa e di Abe nessuna traccia. La luce della sua camera era spenta. La casa sembrava abbandonata, fatta eccezione per la luce della cucina, che potevo intravedere dalla finestra del salotto nella parte anteriore dell'edificio.

Feci dietrofront e tornai in casa, nella mia stanza. La nostalgia mi colpì così tanto che passai diverso tempo a cercare di non lasciarmi sfuggire le lacrime. Alla fine invece sfogai tutto il malessere che sentivo e piansi fino ad addormentarmi, sperando che il giorno dopo sarei stata meglio.

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