Capitolo 46

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Qualche giorno dopo Abe mi chiese se poteva accompagnarmi a casa per prendere le mie cose, era stanco di stare chiuso tra quelle quattro mura a rimuginare e aveva bisogno di cambiare aria per un po'. Trovavo che fosse più che giusto per lui fare qualcosa di diverso. Negli ultimi giorni aveva passato troppo tempo seduto a fissare il vuoto, mentre io cercavo di stargli vicino e di rispettare i suoi silenzi, carichi di emozioni spesso contrastanti tra loro. Potevo leggere i suoi stati d'animo semplicemente soffermandomi ad osservare la sua espressione: a volte corrugava le sopracciglia e rimaneva seduto al tavolo con i pugni chiusi sul ripiano, la rabbia di quel rapporto irrisolto allora si mischiava all'incredulità per la perdita; altre volte invece appoggiava il mento alle braccia conserte e con gli occhi lucidi e persi nel vuoto sembrava quasi assente. In quei momenti era quasi impenetrabile e lo capivo. Aveva bisogno di tempo per venire a patti con la perdita di un padre violento, con cui aveva sempre avuto vissuti burrascosi, ma a cui voleva bene. Così, quando mi chiese di partire lo assecondai e lo ritenni un buon segno. Anche per me quei giorni erano stati difficili e l'idea di riabbracciare la mia migliore amica mi rendeva felice. Il viaggio fu silenzioso, Abe si dedicò alla guida, osservando la strada e i paesaggi. Ogni tanto mi rivolgeva uno sguardo e solo in quel caso la malinconia e la tristezza lasciavano posto ad una luce diversa, che riconoscevo bene, perché era la stessa luce che illuminava anche i miei occhi. Tenevo la mano appoggiata alla sua, salda sul cambio, lasciandomi andare al flusso dei miei pensieri. Scendemmo dall'auto, avvicinandoci a casa. Non feci in tempo a suonare il campanello, che Keri si era già precipitata giù per le scale, venendoci incontro. Abbracciò a lungo Abe, dimostrando ancora una volta la sua indole empatica. Non disse nulla però, rispettando la delicatezza dei sentimenti che seguono un lutto, per i quali a volte un abbraccio sincero è più consolatorio di tante parole formali.

"Non penserai di cavartela così, Becky!" mi canzonò poco dopo, stritolandomi in un abbraccio da guinness dei primati. "Anche tu mi sei mancata!" la rassicurai, cercando di riprendere fiato.

Una volta saliti in casa, Keri ci offrì alcuni dolci per la quale preparazione – ci raccontò orgogliosa – aveva impiegato tutto il giorno precedente.

"Da quando hai deciso di cucinare dolci?" le chiesi sorridente.

"I dolci sono terapeutici e tirano su il morale! E anche prepararli non è male!" disse allegra.

"Verrai anche tu a casa per le vacanze?" le chiese Abe cercando di inserirsi nella conversazione.

"Sì, ma non oggi. Stasera ho un appuntamento galante..." rispose facendo la misteriosa.

"Uh, capisco. Ma ci raggiungerai, quando ti sarai ripresa dalla tua notte di fuoco?" le domandai, pregustando il momento in cui mi avrebbe raccontato ogni cosa.

"Ma certo che vi raggiungerò. Ci puoi scommettere. E uno di questi giorni passeremo una giornata tutti quanti insieme, se vi va. Mia madre si è offerta di cucinare per mezza nazione. Quindi non rimarrete delusi!" promise, addentando una fetta di torta.

Scoppiai a ridere, sapendo che non stava del tutto scherzando su sua madre.

Buttai in valigia un po' di vestiti, senza pensarci troppo. Ero emozionata all'idea di passare alcune giornate tutte con Abe. Certo, avevamo ancora parecchie cose da risolvere, i problemi non sarebbero spariti nel giro di una notte, ma mi era così mancato che non sapevo come avevo potuto resistere tanto. Mi era bastato vederlo per capire che non potevo stare lontana da lui un solo minuto in più.

Salutai Keri, stringendola forte a me e ringraziandola per ogni cosa, con la promessa che ci saremmo sentite al più presto. Abe si offrì di portare la mia valigia, e insieme raggiungemmo l'auto, mentre i nostri passi rompevano il silenzio di quella fredda serata.

"Vuoi che guidi io?" gli chiesi con gentilezza.

"Non pensarci nemmeno! Lo hai già fatto una volta e sappi che almeno per tutta la durata di quest'era geologica non ricapiterà..." disse facendo l'antipatico maschilista.

"Ma tu sentilo il signorino, com'è possessivo con la sua auto!" lo punzecchiai, facendo l'offesa.

"E non solo con la mia auto...." Aggiunse, stringendomi tra le braccia. Lo scansai, salendo a bordo. "Sembri un vero cavernicolo. Andiamo, su, o arriveremo per Natale dell'anno prossimo!" Scoppiammo a ridere.

In breve tempo si mise alla guida, concentrandosi sulla strada. Quando fummo in procinto di arrivare, però, non svoltò in direzione di casa.

"Ehi, ma dove stai andando?" Gli domandai, pensando che avesse sbagliato strada. Fece spallucce sorridendo.

"Voglio portarti in un posto." Confessò, lasciandomi senza parole. "È una sorpresa, quindi non cominciare a chiedermi dove stiamo andando, perché non te lo dirò!" Incrociai le braccia sul petto, mettendo il broncio. "Te l'ho già detto che sei bellissima quando metti il broncio?" mi chiese, guardandomi di sfuggita.

"Simpaticone! Io sono sempre bella!" dissi indispettita, fingendo di darmi delle arie.

"Oh, sai che non è vero. Tu sei sempre meravigliosa!" mi contraddisse, facendomi arrossire.

La macchina seguì una serie di curve, salendo sempre di più, finché non ci fermammo.

"Ma qui non c'è nulla, dove diavolo mi hai portata?" chiesi scocciata, guardandomi intorno senza capire le sue intenzioni. Lui alzò gli occhi al cielo, scese dalla macchina e facendo il giro venne ad aprirmi lo sportello.

"Ora chiudi gli occhi..." mi ordinò dolcemente. Io mi fidai e chiusi gli occhi, facendomi guidare da lui. Mi portò da un lato dello spiazzo, dove mi diede il permesso di guardare. Lentamente schiusi le palpebre, ritrovandomi ad ammirare il panorama più incantevole di sempre. Sotto al crinale della collina, c'era una schiera di lucine, appartenenti alla città, che si allungavano sulla vallata a perdita d'occhio. "Wow...è incantevole!" esclamai sorpresa, guardandolo nel buio, riuscendo a scorgere solo la sua sagoma.

"Non è finita qui però..." sussurrò trepidante, prendendomi per mano. Lo seguii mentre andava ad accendere i fari dell'auto, illuminando un piccolo gruppo di alberi con cui cominciava il bosco.

"Guarda qui..." mi disse infine, indicandomi uno degli alberi dal tronco più resistente. Mi avvicinai per guardare meglio. Inciso sul legno c'era un cuore, che conteneva le nostre iniziali e una piccola data.

"Abe..." non sapevo che dire, commossa da quel gesto, così romantico e un po' all'antica.

"Aspetta." Mi disse, posandomi un dito sulle labbra. "Ci sono tantissime cose di cui dovremo parlare, ma abbiamo tutto il tempo di farlo. L'estate scorsa, quando ero solo per fare chiarezza, non ho fatto altro che pensare a te. Già sapevo che tutto ciò che desideravo eri tu. Il viaggio mi ha fatto capire che non potevo andare da nessuna parte senza di te." L'emozione mi travolse, mentre parlava con tanta sincerità. Non sapevo come reagire a quelle parole, non volevo essere banale o scontata. 

"Abe... io..." cercai di dire qualcosa di sensato. Lui mi interruppe, prendendomi le mani.

"Ti prego, lasciami finire, ho pensato tanto a come sarebbe stato dirti queste cose. Prima di rientrare, nel giorno del tuo compleanno, ho fatto tappa in questo posto." Sentii tutta l'emozione che provava, nella sua voce piena e nelle sue mani che tremavano nelle mie. "Vedendo questo panorama ho capito che nel mio cuore era inciso il tuo nome. Allora mi sono ripromesso che ti avrei portato qui e ti avrei detto esattamente queste parole: Becky Elizabeth Thompson, io ti amo di un amore che non ha confini. Vorrei gridarlo al mondo intero, ma la persona più importante a cui voglio che sia chiaro, sei proprio tu. Ti amo e non potrei mai vivere una vita piena di significato, senza di te al mio fianco."

Quelle parole rimasero sospese nell'aria per alcuni istanti, in cui mi concessi di assaporarle, una ad una.

Lo abbracciai con slancio, tenendolo stretto a me come sognavo di fare da parecchio tempo.

"Abe Tyler. Anche io ti amo. Ho impiegato un'infinità di tempo per capire, ma ora so che questo sentimento sarà per sempre indelebile dentro di me." Una fugace lacrima, di pura felicità, solcò il mio zigomo infreddolito, prima di raggiungere le mie labbra. Lui si affrettò a raccoglierla sigillando quel momento prezioso in un bacio ricolmo di tenero affetto. Poi, finalmente insieme, ci volgemmo al panorama che si apriva davanti ai nostri occhi, riponendo in quell'orizzonte intriso di blu tutte le speranze e i sogni che ora sgorgavano copiosi dai nostri cuori.

We were friendsWhere stories live. Discover now