Capitolo 22

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Mia madre si diede da fare e mi coccolò il più possibile, preparando un pranzetto delizioso per festeggiare, con tanto di enorme torta al cioccolato, come piaceva a me. Ne avanzò parecchia, ma il giorno dopo ne avrei offerta un po' a Keri e a Philip, ero sicura che non si sarebbero tirati indietro. Avremmo festeggiato con un giorno di ritardo, ma per me andava bene così.

Riempii il pomeriggio leggendo e rispondendo a qualche messaggio di Jude, che sembrava molto nostalgico. Era piacevole il fatto che mi cercasse, che mostrasse di interessarsi a me, ma da un angolino – nemmeno troppo remoto – del mio cervello ormai sovraccarico, una sensazione sgradevole di fastidio si faceva strada. Da dove arrivava tutta quell'irritazione? Jude si stava solo mostrando premuroso e carino nei miei confronti, non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse di sbagliato in me.

Rispettai religiosamente l'accordo preso con Keri, poco prima di sera inviai il secondo SMS della giornata, uguale identico al primo: "Pianeta Becky chiama Keri. Sono ancora viva, sto bene, respiro e sono anche felice. Divertiti e non pensarmi troppo!" Indugiai ancora con il telefono tra le mani, una parte di me – una parte molto ingenua e stupida, mi rimproverai – sperava ancora che Abe si facesse vivo. Alla fine appoggiai il cellulare sul comodino e non ci pensai più, dovevo smetterla di torturarmi in quel modo, avrei dovuto avere più rispetto per me stessa.

Dopo cena approfittai volentieri della scusa di portare fuori i rifiuti per stare un po' all'aria aperta. Non ero uscita per tutto il giorno e speravo che il caldo avesse lasciato spazio alla brezza serale. Adoravo la sensazione che mi procurava quel venticello fresco sulle braccia scoperte, facendomi rabbrividire leggermente. Fuori tutto era silenzioso, anche i figli dei vicini si erano finalmente decisi a rientrare, dopo aver giocato per tutto il pomeriggio in cortile facendo un baccano infernale.

Borbottai tra me e me, trascinando il sacco dei rifiuti, che pesava una tonnellata. Dubitai seriamente di mia madre, pensando che potesse esserci un cadavere in quel sacco nero di plastica. Lo strattonai fino al cassonetto e lo buttai dentro con tutta la forza che avevo. "Becky 1 - Rifiuti 0" pensai soddisfatta.

Decisi di fare due passi intorno all'isolato, camminare mi aiutava a schiarire i pensieri e potevo osservare il quartiere avvolto in quella rilassatezza tipica dell'estate. In qualche giardino c'erano famigliole e amici che si erano attardati per un barbecue o per chiacchierare pigramente.

Sulla strada del ritorno rabbrividii, la brezza serale aveva fatto il suo dovere, stemperando quella giornata calda.

Affrettai il passo, per riscaldarmi, ma anche per raggiungere casa prima che i miei si preoccupassero di un eventuale rapimento.

A pochi passi da casa mia però mi fermai bruscamente. Nel buio, scorsi una sagoma, appostata al muretto che circondava casa.

Mia madre aveva sempre detto che ormai era diventato pericoloso uscire di sera nel quartiere, ma avevo sempre pensato che fosse esagerata. Ora non sapevo se continuare a credere alla mia versione o dare maggior credito a lei. Mi avvicinai cauta, cercando di capire se correvo un pericolo o meno.

La luce dei lampioni rese ogni cosa più distinta, definendo anche l'identità di chi mi stava davanti. Per un attimo indietreggiai, come se avessi visto un fantasma. Poi lui avanzò.

"Becky" pronunciò il mio nome con un tono che non riuscii a decifrare. Ero troppo sconvolta da quella visione, il mio cervello stava palesemente andando in tilt.

"Becky" disse nuovamente lui, avvicinandosi.

"Stammi lontano" lo minacciai in un soffio. "Che ci fai qui?" gli chiesi, non esattamente entusiasta. Ero confusa, per quanto avessi desiderato rivederlo fino a qualche momento prima, anche sforzandomi, ora non riuscivo ad avere una reazione positiva. Nonostante volessi delle risposte, una parte di me sentiva di non essere ancora pronta davvero per averne.

"Becky mi dispiace...io.." non riusciva a mettere insieme le parole, ma io non ero pronta a sentirle, perciò lo superai. "Fermati!" mi gridò, rincorrendomi. "Volevo farti gli auguri. Mi dispiace così tanto!" le sue parole mi giunsero indefinite, sovrastate dal mio respiro irregolare, dal battito del mio cuore, dalle lacrime che spingevano per uscire. Mi rintanai dentro casa come se fosse la mia unica salvezza.

I miei si accorsero di quanto ero sconvolta, ma non li lasciai indagare. Mi chiusi a chiave nella mia stanza, mentre le lacrime uscivano tutte, anche quelle che avevo per tutti quei giorni trattenuto con l'intenzione di mostrarmi forte. Appoggiata contro la porta, mi lasciai cadere a terra, svuotandomi da quel dolore informe e insopportabile, dalla frustrazione e dalla sensazione di essere stata così ferita da non riuscire più a incollare insieme tutte le parti di me.

Abe era tornato, così, all'improvviso. E avrei dovuto sentirmi sollevata o arrabbiata. Avevo avuto bisogno di risposte fino a qualche momento prima. Ora sembrava non importare più: qualsiasi risposta non avrebbe curato le mie ferite.

Dimenticai il terzo messaggio che avrei dovuto inviare a Keri e passai la nottata più lunga della mia vita a guardare fisso davanti a me, con gli occhi gonfi dal pianto, senza riuscire a pormi domande, incapace di dare un senso a tutto quello che stavo provando.

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