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THE NAME

«Danika...» ripeté Max lentamente, quasi come se stesse cercando di assaporare il nome sulla lingua. Poi sulle sue labbra comparve un sorriso trionfante.

Max era senz'altro un ragazzo molto attraente, ma quando sorrideva il suo fascino raggiungeva proporzioni epiche.

Non riuscivo a smettere di fissarlo.

«È un nome insolito, mi piace» aggiunse poi, chiudendo gli occhi.

Sorrisi. «Be', grazie.»

«Sai da dove ha avuto origine? Il tuo nome, intendo.» Max prese a muovere le dita della mano destra in modo scomposto, quasi come se stesse suonando un pianoforte immaginario.

«Sono quasi certa che sia slovacco. Mia madre è nata in Slovacchia e lì il mio nome è abbastanza comune. Perciò credo che sia nato lì.» Feci spallucce.

«Sai che significa?» mi chiese. Ma ancora prima che potessi rispondergli, aprì di scatto gli occhi e sollevò l'indice. «Scusa un momento.»

Lo guardai accigliata mentre si voltava e si avviava nuovamente verso il cornicione del tetto.

Per un terribile istante credetti che volesse nuovamente salirci sopra, tuttavia mi accorsi subito che non era così.

Max afferrò un quaderno e una matita dal cornicione, che non avevo notato prima a causa del buio, e si sedette su di esso, con le gambe rivolte verso il pavimento, stavolta.

Continuai ad osservarlo mentre apriva il quaderno e iniziava a muovere freneticamente la matita sulla pagina, lo sguardo concentrato.

«Dicevi?» chiese all'improvviso, spostando ripetutamente gli occhi dal quaderno al paesaggio dietro di lui.

«Cosa?»

«Il significato del tuo nome, qual è?» Max non smise neanche un secondo di scarabocchiare sul foglio.

«Uhm... non so...» esitai, fissandolo. Non sembrava che mi stesse prestando molta attenzione, concentrato com'era.

Alzò per circa un millesimo di secondo lo sguardo verso di me. «Non lo sai?»

Ah, allora mi ascoltava!

«Be', no... non ho mai cercato il significato del mio nome. Perché ti interessa?»

Lui fece spallucce. «Sono appassionato di nomi. Mi piace sapere dove sono nati e che significato hanno. Il tuo non l'avevo mai sentito prima.»

«Non è poi così insolito, qui in America» ribattei, cercando di sbirciare dentro il suo quadernino.

«Sarà, ma a me risulta nuovo.»

«Okay, e qual è il significato del tuo, invece?»

«Il mio nome completo è Maxwell» capovolse la matita dal lato su cui si trovava la gomma e cancellò qualcosa sul foglio, «deriva da un cognome tipico scozzese. Significa 'vicino alla fonte' o qualcosa di simile.»

Aggrottai le sopracciglia. «Che fonte?»

Un lento sorriso malizioso gli si formò sulle labbra, mentre lo sguardo rimase basso sul quaderno. «Mi piace pensare che sia la fonte della bellezza.»

Alzai gli occhi al cielo e cercai di trattenermi dal ridere. Non volevo incoraggiarlo, anche se non aveva tutti i torti, a pensare una cosa del genere.

«Sul serio, Max? Era pessima.»

La sua unica risposta fu una risata roca.

Ci furono alcuni istanti di silenzio in cui gli unici rumori che risuonarono furono quelli del vento e della matita di Max che strisciava sul foglio.

Riuscii a trattenermi per circa due secondi, poi la curiosità ebbe la meglio.

«Si può sapere che diavolo stai facendo?» gli chiesi, quando non accennava a spostare lo sguardo da quel dannatissimo quaderno.

Lui alzò di scatto la testa verso di me. «Sto facendo quello per cui ero venuto qui. Sai, prima che questa ragazza dagli occhi color ghiaccio piombasse sul tetto pregandomi di non commettere un suicidio.»

Incrociai le braccia al petto e lo fulminai con lo sguardo. «Scherzaci pure, ma mi hai fatto spaventare a morte. Non è affatto normale stare in piedi sul cornicione di un tetto, dove chiunque potrebbe vederti e farsi strane idee.»

Lui fece un sorrisetto furbo. «Chi è che decide cos'è normale e cosa non lo è?»

«Non fare il sapientone con me. Non funziona.»

Il suo sguardo tornò sul quadernino. «Non stavo facendo il sapientone. Ascolta, Danika, mi dispiace davvero di averti spaventata, ma non ero per niente in pericolo. So quello che faccio e ti assicuro che non corro alcun rischio. Te l'ho detto, stavo cercando di guardare il paesaggio da un'altra prospettiva.»

«D'accordo, ma quello che non capisco è perché» esclamai, frustrata.

Lui sospirò e chiuse di scatto il quadernino. «Sono un pittore.»

Oh.

Questa sì che era una sorpresa.

Lo fissai, accigliata. «Sul serio?»

«Già» mi rispose, con fare noncurante. Avevo così tante domande da fargli, ma lui mi interruppe schioccando le dita davanti a sé. «Ho appena avuto un'idea geniale, Ghiaccio.»

Eravamo tornati a quel soprannome, quindi?

Alzai un sopracciglio. «Ah sì?»

Sorrise. «Oh sì, una delle migliori che io abbia mai avuto. E ne ho avute molte, di belle idee.»

Ridacchiai. «Sentiamo quest'idea del secolo.»

«Sono tremendamente in ritardo e non ho il tempo di farti tutte le domande che vorrei, per cui... dovresti venire a trovarmi, domani, al Fogg Art Museum.»

Sospirai. «È una pessima idea.»

«È un'idea fantastica e non ti permetterò di smontarmi.»

«E cosa ci dovresti fare, tu, al Fogg Art Museum?»

«Ci lavoro» rispose, alzando una spalla. «Faccio la guida» aggiunse poi, vedendomi perplessa.

Distolsi lo sguardo. «Ma perché dovresti invitarmi? Non mi conosci neanche.»

Non sapevo nemmeno io perché stessi cercando così arduamente di contestare la sua proposta. Infondo non mi aveva chiesto di sposarlo.

Max si alzò dal muretto e iniziò ad avviarsi verso la porta, camminando all'indietro per guardarmi.

«Ascolta, il mio turno finisce alle cinque, ma se passi prima potrei riuscire a farti fare una visita gratis.»

Voltò la schiena e aprii la porta che conduceva alle scale. Poi si voltò nuovamente verso di me.

«E comunque è proprio per quello che ti ho invitata, Danika. Voglio conoscerti meglio.»

Poi sparì dietro la porta, lasciandomi lì impalata a fissare il vuoto.

***

SORPRESAAA! Ho aggiornato prima!

Volevo ringraziarvi per le 400 visualizzazioni (che sono già quasi 500! WOW), siete davvero fantastici!

A questo Sabato,

Letiz xx.

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