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THE TALK

Da: Jensen
Mi dispiace per stamattina. Sto bene, non preoccuparti. Verrò a Cambridge per il tuo compleanno xx.

Quello fu il messaggio che ricevetti non appena arrivai a casa.

Ero riuscita a tornare a Cambridge in tempo per la fine delle lezioni di danza, per cui mia madre non aveva fatto domande.

Max aveva insistito per accompagnarmi fino a casa, ma io avevo rifiutato. Non mi andava di rubargli altro tempo, non dopo avergli inzuppato la maglietta con le mie lacrime.

Ci eravamo salutati davanti i gradini della scuola di danza e, dopo aver recuperato il borsone, mi ero precipitata verso casa il più velocemente possibile.

Non volevo fare altro che buttarmi sul letto e dimenticarmi per sempre di quella giornata.

Mi chiusi la porta della stanza alle spalle e mi buttai sul letto.

Digitai in fretta e furia una risposta al messaggio e attesi.

Nessun numerino comparve sulla casella dei messaggi.

Fissai il telefono per quasi dieci minuti, ma quando mi resi conto che non avrebbe risposto sospirai, demoralizzata.

Jensen si chiudeva a riccio in quel modo solo quando aveva qualcosa da nascondermi.

Decisi che avrei aspettato di vederlo di persona quel Giovedì, prima di fargli tutte le domande che mi frullavano per la testa.

Ad un tratto, il mio sguardo si posò in un angolo ben preciso della camera: l'armadio. Le ante erano socchiuse, e lasciavano intravedere la grande scatola in cui avevo sistemato tutti gli oggetti che mi sarebbero serviti per assemblare il mio nuovo computer.

In quei giorni non ero riuscita ad iniziare l'assemblaggio a causa delle lezioni di danza raddoppiate, e quello mi sembrò il momento perfetto per cominciare. Avevo bisogno di schiarirmi le idee.

Mi alzai dal letto e tirai fuori la scatola dall'armadio.

Fui sul punto di togliere il monitor dall'involucro, quando sentii il rumore della porta d'ingresso che sbatteva, seguito poi dalla voce di mio padre.

Mi misi subito in allerta.

Aveva novità di Jensen? Si sentiva meglio? Me l'avrebbe detto se glielo avessi chiesto?

Ne dubitavo.

«... uno shock!» sentii mia madre sbraitare, indignata.

I suoni mi arrivavano attutiti, ma riuscii a cogliere pezzi della loro conversazione.

«... quella gente... davvero preoccupante... non so più cosa fare!» La voce di mio padre sembrava stanca, rassegnata.

«... cosa abbiamo sbagliato con lui?» Sussultai al tono aspro utilizzato da mia madre.

Era ovvio che stessero parlando di Jensen.

Mi lasciai cadere sul letto e mi presi la testa fra le mani, ascoltando i miei genitori discutere senza sentirli veramente.

Non avevo idea di quello che fosse successo a Jensen la notte scorsa e nessuno sembrava intenzionato a dirmelo. Avevo paura che la situazione fosse più grave del previsto.

«Ieri... con Danika...» alzai la testa di scatto quando sentii mia madre pronunciare il mio nome.

Tesi le orecchie ma non riuscii a sentire altro che voci soffocate. Probabilmente si erano spostati nello studio.

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