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THE EX

Il mio cervello annebbiato dal panico impiegò qualche istante per registrare ciò che era accaduto.

Un tuono scosse il vetro della finestra, producendo un boato agghiacciante.

Il forte rumore mi fece finalmente riscuotere.

Con le dita che tremavano, digitai nuovamente il numero di Jensen.

Uno.

Due.

Tre squilli.

Segreteria telefonica.

«Merda, merda!» Mi passai una mano fra i capelli e lo chiamai di nuovo.

La linea cadde al secondo squillo.

Le ginocchia iniziarono a tremarmi e il respiro si fece affannoso. Dovetti sedermi sul letto per evitare di cadere rovinosamente per terra.

Non ero per niente brava a gestire il panico.

Provai a chiamare zia Jos e zio Matt, ma anche il loro numero di casa era irraggiungibile.

I miei genitori dovevano sicuramente avere il loro numero di cellulare.

Mi precipitai giù dalle scale come un fulmine in cerca di mia madre, dimenticandomi della discussione avvenuta la sera prima.

La trovai che beveva il caffè in cucina insieme a mio padre. Lui indossava già la divisa da poliziotto e fu il primo a notare la mia espressione terrorizzata.

La sua mano corse immediatamente alla fodera della pistola, come per abitudine. «Cos'è successo?»

Anche la mamma si girò nella mia direzione.

«Si tratta d-di Jensen. Lui... mi ha inviato un messaggio ed era...» incespicai, tentando di trovare le parole. «Era ubriaco... rideva e poi si è messo a piangere... e c'era quel rumore.» La mia voce tremava visibilmente.

«Danika.» Mio padre si avvicinò a me e mi posò una mano sulla spalla. Aveva sfoderato la sua tipica 'faccia da poliziotto': impassibile, impenetrabile. «Fai un respiro profondo e raccontaci tutto dall'inizio.»

Feci come detto e iniziai a raccontare, partendo dal messaggio.

Mio padre mi ascoltò con attenzione, probabilmente analizzando tutti i dettagli, mentre la mamma corse fuori dalla cucina non appena raccontai di aver sentito Jensen piangere. Ero certa che volesse provare a rintracciare zia Jos e zio Matt.

Avevo notato subito lo sguardo di puro panico sul suo viso non appena avevo terminato di raccontare ciò che era successo.

Dopotutto, nonostante i continui litigi, Jensen era pur sempre il suo figlio maggiore.

«Ti accompagno a scuola» disse mio padre, avviandosi verso l'ingresso.

Strabuzzai gli occhi. «Che cosa? Non posso andare a scuola senza sapere cos'è successo a Jensen!»

«Di questo ci occupiamo noi, tu devi andare a scuola e distrarti. Vedrai che Jensen sta bene, non è la prima volta che capita un episodio del genere.»

«Papà non capisci, è diverso. Sembrava... disperato, non l'ho mai sentito piangere così. E quella frase? Era come se... come se si fosse pentito di qualcosa.»

Mio padre si fermò vicino la porta dell'ingresso. Mi mise una mano sul braccio e mi fissò diritto negli occhi, rassicurandomi con lo sguardo. «Sono sicuro che sarà stata una frase detta per caso, Danika. L'alcol gioca brutti scherzi sul sistema nervoso di una persona. Vedrai che Jensen tornerà presto a casa degli zii.»

Perfect DaughterWhere stories live. Discover now