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THE MOON ON THE RIVER

Quando uscimmo dalla metropolitana, il vento gelido aveva smesso di soffiare sulla città.

L'umidità che saliva dal fiume Charles aveva fatto arricciare le punte dei miei capelli, e io mi maledissi per non aver portato un elastico con me.

Spostando lo sguardo verso l'alto, mi sentii quasi soffocare. I grattacieli si stagliavano verso il cielo a perdita d'occhio, e alcuni di essi sembravano quasi curvarsi verso di me.

A Cambridge ce n'erano, di edifici alti. Ma non ricordavo di averne mai visti di così imponenti, tutti ammucchiati nello stesso punto.

Non avevo molti ricordi della mia infanzia passata a Boston, tuttavia ricordavo di aver speso pochissimo tempo in centro città. Il quartiere periferico in cui abitavamo era distante dal centro, per cui non c'erano state molte occasioni per visitarlo.

Le luci delle città erano accecanti; da quelle al neon sulle insegne dei bar, ai più comuni lampioni sui marciapiedi. Persino il lampeggiare costante dei semafori sembrava più brillante, rispetto a quello a cui ero abituata.

Con tutta quell'illuminazione era impossibile avvistare anche solo una stella in cielo.

La mia espressione doveva risultare più bizzarra del solito, perché sentii Max scoppiare a ridere, di fianco a me.

«Non ti piace Boston, eh?»

Arricciai il naso, osservando la gente camminare a passo svelto intorno a noi. Sembravano andare tutti di fretta, nonostante fossero già le sette e mezza di sera.

«Non amo le zone caotiche» risposi, volgendo lo sguardo verso di lui.

Max sorrise -quel genere di sorriso che riusciva a tranquillizzarmi anche in momenti di tensione come quello. «Non sei tagliata per le grandi città, allora.»

«Cambridge è grande.»

«Non quanto Boston» ribatté, divertito. Notai, però, che il suo sguardo si era fatto nostalgico.

Ci spostammo dalle scale che scendevano verso i treni, per permettere alle persone di passare.

«Ti manca? Vivere qui, intendo.»

Max si strinse nelle spalle. «Un po', ma sono felice a Cambridge. Avevo bisogno di cambiare aria.»

La scintilla che di solito gli illuminava lo sguardo era sparita.

Fui sul punto di approfondire l'argomento, ma Max mi batté sul tempo.

«Allora» riprese, rivolgendomi un sorriso «Dove hai detto che abitano, i tuoi zii?»

«Roxbury» risposi.

Sospirai e chiusi gli occhi. Per quanto cercassi di ripetermi che Jensen stesse bene, la tensione continuava a salire.

In un attimo di debolezza, in metro avevo pensato di chiamare Cody e avvisarlo. Lui avrebbe senz'altro saputo cosa fare; aveva sempre la soluzione pronta.

Tuttavia, da quando ognuno si era fatto la propria vita, lontano da casa, non correva più buon sangue tra i due, e la cosa mi faceva star male.

Eravamo soliti essere una famiglia molto unita, prima che tutto quel casino ci piombasse addosso.

Delle volte mi mancavano. Non Jensen e Cody di per sé, ma i momenti passati tutti insieme.

Mi mancavano le gite a Carlisle che i nostri genitori ci propinavano ogni estate per andare a trovare i nonni, nonostante fosse la cittadina più noiosa del pianeta. Le uniche cose che adoravo di quel posto erano il negozio di articoli country e la gelateria. Jensen aveva il disgustoso vizio di lasciare che il gelato si sciogliesse per poterlo bere direttamente dalla coppetta.

Perfect DaughterWhere stories live. Discover now