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THE BIG BROTHER

«Hai intenzione di farlo adesso?»

«Ma certo! Ora lo faccio.»

«Fantastico.»

«Bene. Sto andando.»

«Quando vuoi.»

«Sì, ora sono pronta.»

«Prenditi il tuo tempo.»

«Non è necessario, sto per farlo.»

«Puoi farcela, Danika, non perderti d'animo!»

«Devo solo bussare ad un maledettissimo citofono, Max, non scalare l'Everest!» sbottai, sentendomi subito in colpa per avergli risposto in quel modo.

Eravamo fermi davanti al condominio, dove abitavano i miei zii, da dieci minuti.

Non potevo farci niente, ero bloccata.

Tutta l'ansia che avevo trattenuto fino a quel momento era riemersa, e mi stava schiacciando sotto il peso di mille preoccupazioni.

In tutti i diciotto anni della mia vita non avevo mai disobbedito a mia madre. Mai una parola fuori posto, mai un'occhiata torbida nella sua direzione... solo, ed esclusivamente, rispetto.

Tuttavia, gli avvenimenti degli ultimi due giorni avevano riscosso qualcosa dentro di me.

La delusione provocata dalla litigata con mia madre non aveva smesso di bruciare. La sua mancanza di fiducia nei miei confronti mi aveva ferita, ma soprattutto mi aveva spinta a fare cose che mai mi sarei sognata di fare - come urlarle contro o scappare di casa per partire alla ricerca di Jensen.

Da quel giorno mi sentivo in gabbia; nient'altro che un animale selvatico tenuto in cattività e ammaestrato a dovere.

Avvertivo la maschera - una maschera che non sapevo di stare indossando - iniziare a creparsi, e quello che avrei potuto trovare sotto mi spaventava.

Tuttavia, anche se sapevo che qualcosa in me era cambiato, in cima alla top ten delle mie più grandi paura restava un'unica cosa: deludere i miei genitori.

Li avevo visti urlare, piangere e cadere in una profonda depressione dopo tutto ciò che era successo con Jensen e Cody, mentre io ero sempre stata la loro ancora di salvezza.

La figlia perfetta.

Non potevo permettermi di fare un passo falso, perché deluderli significava farli soffrire - privarli della loro unica fonte di sollievo.

Quello era uno dei motivi principali per il quale non riuscivo a bussare a quel maledettissimo citofono.

Se i miei zii avessero detto a mia madre di avermi vista a Roxbury... non sarei riuscita a tollerare l'espressione delusa sul suo viso.

Il panico mi attanagliò lo stomaco.

Ero patetica. Una patetica ragazzina che non riusciva a bussare ad un citofono perché terrorizzata da sua madre.

Chiusi gli occhi, nel vano tentativo di calmarmi.

«Hey.» Sentii il tocco gentile della mano di Max sulla mia spalla. «Respira, Ghiaccio. Qualsiasi cosa sia che ti sta tormentando, non lasciare che prenda il sopravvento. Ricordati perché sei qui.»

La sua voce era calda, tranquilla, e riportò la mia mente esattamente dove desideravo che andasse.

Jensen.

Feci un respiro profondo e annuii. «Giusto.»

Lui mi sorrise e io mi sentii in colpa. Era sempre così gentile, così disponibile.

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