8.3 Inganni

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Calò improvvisamente il silenzio in tutta la sala, Asper si levò in piedi e sguainò la spada, puntandola contro il traditore e Veer compì il medesimo gesto, sfoderando una lama lunga e pesante che si protendeva dall'elsa non troppo istoriata, dall...

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Calò improvvisamente il silenzio in tutta la sala, Asper si levò in piedi e sguainò la spada, puntandola contro il traditore e Veer compì il medesimo gesto, sfoderando una lama lunga e pesante che si protendeva dall'elsa non troppo istoriata, dalle forme elegantemente tondeggianti. Assomigliava ad una spada bastarda, anche se leggermente più lunga e meno maneggevole. Intimò inoltre a suo figlio di mettersi dietro di lui, poi guardò Vissia e s'accorse che la ragazza era pietrificata dall'orrore, completamente incapace d'intendere qualunque frase, anche tra le più semplici. Il sovrano invece era calmo, non intimorito dall'eventualità che quel piccolo impostore potesse fargli del male. Tirò un sospiro, scosse la testa e con una velocità innaturale prese la nuca del ragazzo e gli sbattè il viso talmente forte sul tavolo che gran parte dei piatti caddero a terra ancora colmi, insieme al cadavere del temerario, la faccia deformata dall'impatto col duro legno e gocce del suo sangue a sporcare l'espressione rilassata di Maitreya. Vissia non trattenne un urlo.
« Falla tacere o ammazzo anche lei. » il sovrano prese un tovagliolo e pulì le macchie rosse che gli deturpavano il volto marmoreo, iniziando da quelle sulle labbra e poi intorno gli occhi. Veer depose la spada sulla tavola e si affrettò a far distogliere l'attenzione della ragazza dal corpo inerme, sotto cui si stava frettolosamente spandendo una pozza color della morte.
« Dovevi proprio farlo così violentemente? » accolse la chioma bionda di Vissia tra le sue braccia per la seconda volta in poche ore e riprese a carezzarla come aveva fatto sul balcone prima di essere interrotti.
« Prendi quella dannata arma tra le mani, non può esserci solo un girino nella covata. » il re non volle dare ascolto alle repliche di Veer, si alzò anch'egli impugnando la propria fidata compagna e fiancheggiato da Asper, il quale già si era mosso in direzione degli altri servi presenti, che avevano tutta l'aria di consapevolezza d'essere già destinati a morire per colpa di un solo pazzo. Chiese a ciascuno, uno dopo l'altro, che gli mostrassero il dorso delle mani e non uno tra i rimanenti fu privo della croce che Maitreya imponeva venisse loro incisa per situazioni come quella presente, dove addocchiare un traditore era per lo più impossibile senza precise precauzioni.
« Fai entrare Kaitos. » rivolse al fratello un ordine, ma suonò più vicino ad un consiglio prudente. La presenza del Fenrir avrebbe posto tra di loro e chiunque tentasse di cospirare quella sera, un muso provvisto di un'ottima dentatura, sufficientemente grande per staccare di netto un qualsivolesse arto o, per una morte più rapida, la testa. Il sovrano non era solito permettere all'animale di prendere posto nella sala da pranzo ma avrebbe fatto un'eccezione per quella volta e, forse, anche per tutte quelle a venire.
« Dobbiamo andare da Otha. » Asper lo squadrò in preda alla paura che si stava aggirando come una dama oscura tra le iridi del ragazzo, coprendo gli spiragli di luce che potessero instillare speranza. Abbassò la maniglia dorata, finemente modellata per rassomigliare al capo di un lupo ed oltre la porta vide una chioma rossastra, tendente all'aranciato, come il tramonto di quella sera, e percepì un pugnale entrargli nel fianco, sospinto dalla persona che risplendeva tra i ciuffi di fuoco scottante. Sentì il freddo aggrovigliarsi ed accartocciarsi assieme a lui per terra, non troppo distante dal cadavere latteo del ragazzino e Maitreya gridare maledizioni a vuoto. Li avrebbe uccisi tutti. Fu il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi.
« Serhatan. » Veer inorridì mentre il cugino puliva sorridente con il mantello la lama che aveva appena trafitto il fratello del re. Dietro di lui poi comparve Autybe, sconvolta anch'ella, almeno all'apparenza, di ciò che avesse compiuto il compagno.
« Che cos'hai fatto. » lo spintonò, chinandosi per prendere il volto di Asper tra le mani tremanti
« Ci hai condannati tutti! Non era questo che dovevamo fare! » alzò la voce, in preda ad una folata di puro panico interiore ma non fu abbastanza per fermare Maitreya dallo sferrare un primo attacco contro la folla di persone che si stava riversando nella stanza senza un ordine preciso. Erano ragazzi, bambini, vestiti di stracci e sporchi di terriccio, alcuni armati altri indifesi, le stesse facce che Veer aveva visto nella Celibea quel pomeriggio. La treccia di capelli rossi non doveva essere solo stata un abbaglio, constatò, seguendo con la vista la spada di Maitreya farsi strada tra i corpi docili e terrorizzati di vittime sacrificali almeno quanto lo fosse Asper. I più grandi erano poco oltre la prima adolescenza e per la maggior parte ancora incapaci di difendersi, di lottare e persino di muoversi per schivare i fendenti. C'era chi tra loro si era fatto avanti per difendere i compagni, ma l'inesperienza radicata nella giovane età non poteva nulla contro il sovrano: Ferni doveva aver perso il senno per mandare a morire consapevolmente tutte quelle giovani vite, Serhatan ed Autybe poi dovevano averlo smarrito con lui per non accennare nemmeno un gesto in loro aiuto. Sapevano, era certo che sapessero, che Maitreya non avrebbe avuto scrupoli nei confronti di nessuno, tantomento verso degli intrusi. Il suo obiettivo era il comandante del gregge ma quegli agnelli si erano messi in mezzo alla strada del lupo, affamato ed assetato di vendetta.
Non riuscì a muoversi, tenne stretta Vissia al suo petto affinché non vedesse, nonostante i lamenti e la forza che stava impiegando per divincolarsi dal suo abbraccio oramai diventato una stretta ferrea ed infrangibile. Non riuscì nemmeno a curarsi di Arian, delle sue mani che si stringevano, scosse dai tremiti, attorno alle gambe e delle labbra che avevano iniziato a piangere e richiamare l'attenzione del padre. Era pietrificato, il cuore in procinto di esplodere fuori dal torace. Stava guardando un massacro diverso, eppure così identico a quello della sua famiglia che non trovava il coraggio né la forza di reagire. Temeva che da un momento all'altro Vissia avrebbe iniziato a sanguinare tra le sue braccia, una freccia piantata in gola e gli occhi sempre più opachi, privati del respiro della vita. Temeva di poter perdere nuovamente Solana e la sua stessa esistenza, d'essere tornato indietro negli anni e costretto a rivivere la disfatta della sua Dinastia, ancora e ancora. Ferni lo perseguitava, lo avrebbe sempre fatto fintanto che avesse avuto respiro in petto. Desiderò quasi d'essere morto quel giorno, insieme a sua sorella, insieme alla sua amata, una morte onorevole tra le braccia della propria moglie era tutto ciò che un sovrano potesse desiderare.   

   

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWhere stories live. Discover now