11.5 Accordi

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Il salone nel quale si stava svolgendo il banchetto serale per l'incoronazione era stato allestito con un numero spropositato di tavolate, l'una troppo vicina all'altra a causa della mancanza di uno spazio adatto a contenere la mole di ospiti che ...

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Il salone nel quale si stava svolgendo il banchetto serale per l'incoronazione era stato allestito con un numero spropositato di tavolate, l'una troppo vicina all'altra a causa della mancanza di uno spazio adatto a contenere la mole di ospiti che Ohlma Koshra vantava quella sera. Cassivellanus sedeva al tavolo principale, posto in fondo alla sala su un podio di legno, che lo elevava al di sopra dell'intero mare di persone che ondeggiava innanzi ad esso. Alla sua destra, compostamente rigido, sostava Almashan, il quale per l'intera serata aveva preferito scrutare la gestualità dei presenti piuttosto di proferirsi in inutili convenevoli; mentre alla sua sinistra giaceva Nueeq. La Rekkar reggente, almeno fintanto che il figlio non si fosse sposato, aveva il viso arrossato dal vino e gli occhi spenti. Le era scivolato via anche l'ultimo barlume di dignità le fosse rimasto e si era donata al bere incontrollato per non affrontare la vergogna di avere al proprio fianco Cass. In quello stesso luogo aveva tentato di avvelenarlo, in accordo con Cyphrine e gran parte dei nobili di corte più stretti, ed ora non avrebbe voluto fare altro che domandare perdono per il suo gesto stupidamente avventato, ma l'imbarazzo era troppo. Aveva visto suo figlio rivolgerle occhiate eloquenti ad ogni bicchiere, quasi invitandola a fermarsi e parlare con lui per rivelarsi a vicenda i propri turbamenti, eppure aveva preferito ubriacarsi invece di adempiere ad una richiesta legittima. Chissà cosa la sua creatura pensava di lei, chissà quale giustificazione si era dato per spiegarsi il motivo di un tale gesto insensato. Sicuramente non aveva colto tutto il folle amore celato dietro di esso, come avrebbe fatto a coglierlo d'altronde? Non aveva mai visto a cosa il potere potesse portare, quali mostri esso generasse, di conseguenza non c'era speranza che capisse quanto per lei fosse stato preferibile vederlo morto anzichè sovrano. Nessuno l'avrebbe capito, quel dannato fallimento, avrebbe trascorso gli ultimi suoi anni nel pentimento di non essere riuscita a proteggerlo dalla vita che l'aspettava, mentre tutti gli altri avrebbero malinterpretato i suoi comportamenti. Ancora per una volta, sarebbe stata giudicata ingiustamente ed erroneamente. Si lasciò scivolare sul piano del tavolo, rovesciando le ultime portate ancora intatte sul crudo legno, ed inabissando la testa tra le braccia. Avrebbe voluto piangere, morire, ma il pensiero di lasciare Cassivellanus in balia dei leoni che si aggiravano tra le mura della fortezza, la dissuadeva dai suoi propositi di suicidio. Suo figlio era sempre stato l'unico motivo per cui ella fosse ancora in vita.
« Madre » il novello regnante le posò una mano delicata sull'avambraccio e la scosse appena, per accertarsi fosse ancora sveglia « andate a dormire. Ne avete bisogno. »
La regina alzò appena il capo, chiedendosi se ciò che avesse udito fosse stato reale o meno. Incontrò lo sguardo preoccupato del figlio e si persuase della veridicità della situazione. Cass le aveva davvero rivolto la parola.
« Perdonami. » riuscì a dire, trattenendo a stento le lacrime che premevano contro le palpebre per essere liberate. Il sorriso accennato da lui rivoltole e la totale assenza di rancore nell'espressione di Cassivellanus furono però troppo sinceri affinchè riuscisse ulteriormente a resistere alle proprie emozioni. Scoppiò in un sommesso pianto di disperazione, il quale passò volontariamente inosservato tra coloro che si trovavano più vicini e divenne argomento di discussione tra quelli più lontani. Il Rekkar, in ogni caso, non ebbe la sfrontatezza di ignorare il gemito del suo dolore e con un braccio le avvolse per intero le spalle, tentando di consolarla.
« L'ho già fatto » le sussurrò, baciandole il velo rosato di quella sera ed accostandole la nuca al suo petto « ora vai a letto. Dormi in pace perchè non hai nulla da farti perdonare. Ne riparleremo domattina. Con calma. »
Nueeq annuì, silenziosa, e non appena ebbe scostata la sedia per alzarsi, due dei comandanti che avevano portato il feretro di Ermosed la sorressero, scortandola fin nelle proprie stanze con quanta più discrezione fosse loro possibile. Cassivellanus allora ritornò con l'attenzione alla situazione presente e notò il cipiglio di Almashan farsi più duro, insieme al tremolio discontinuo delle candele sulle tavolate.
« Sei troppo buono » lo rimproverò, scuotendo la testa senza distogliere lo sguardo dalla sala, quasi stesse aspettando da un momento all'altro l'avvento di qualcosa da non potersi perdere
« sarà una grande sfida sradicarti questa dannosa bontà. »
« Almashan » Cass tentò di farsi rivolgere un'occhiata ma constatò l'inutilità della sua pretesa nella muta risposta che il Grande Sapiente gli fornì. Parlò allora senza essere guardato, confidando l'avrebbe ascoltato ugualmente « Chi è Giuda? »
« Significa traditore. Fa parte della tradizione religiosa di un popolo che non conosci. » il Grande Sapiente decise fosse giunto il momento di rivolgere nuovamente gli occhi a Cass. Discostandoli dal banchetto, li posò sul viso stanco del Rekkar. La corona sembrava in procinto di schiacciarlo sulla sommità del suo docile capo e le occhiaie, le quali nel corso della giornata si erano scurite, gli attribuivano un aspetto trasandato e malaticcio. Gli avvenimenti di quel giorno avevano stremato Cassivellanus, era comprensibile, si sentiva piuttosto indolenzito anche lui.
« Quell'uomo quindi... » il sovrano indicò con un gesto svelto il tavolo al quale Veer era seduto, intento a sostenere un discorso con la figura al suo fianco dai lunghi capelli nocciola e gli occhi incavati, contornati di un nero trucco.
« Quell'uomo è Dhoveerdhan Algethy » lo corresse Almashan, una nota di rispetto posata sulle labbra « figlio di Deithor il Magnifico. Il sovrano rinnegato. Chiamalo per nome, ne ha tutto il diritto. Ed al suo fianco Mothalthin Enoch, fratello maggiore del Rekkar Maitreya. » introdusse in quel frangente anche il compagno, per evitare Cass gli desse eccessiva attenzione ed iniziasse a farsi troppe domande. Ed effettivamente egli non badò troppo all'appunto avanzatogli, si sporse più vicino al suo interlocutore e tentò di mugugnare il resto della domanda che prima non era riuscito a finire.
« Lui, sì. Lui mi ha detto... » il Sapiente lo interruppe ancora, prendendogli una mano nella sua e squadrandolo di sottecchi.
« Ho sentito cosa ti ha detto. Non ripeterlo. » fece un cenno con la testa verso Cyphrine ed il re notò che il cugino, a poca distanza da loro, sembrava assai incuriosito dalla conversazione da loro intrattenuta « Ha detto il vero, io lo sento » proseguì Almashan, accostandosi sempre di più al suo orecchio per evitare qualcuno lo sentisse. Guardie ai loro lati comprese. « Non sei al sicuro, qui. Rappresenti l'ago della bilancia nella guerra a venire e chiunque in questa sala ti vuole al proprio fianco oppure morto. La maggior parte propende più per il morto. Cyphrine è stupido, facile da gestire. Tu no. » sul finire dell'ammonimento, la voce si assottigliò come una tagliente lama e si disperse nell'eco delle chiacchiere. Non c'era musica quella sera, lo spazio per i musicisti era stato occupato dalle sedute degli ospiti, ed anche se ci fossero stati, comunque nessuno avrebbe potuto ballare. A meno che non fossero saliti in piedi sul loro stesso cibo, cosa alquanto improbabile considerata l'ingordigia con cui le portare erano state divorate. Solo davanti a Cass si ergevano ancora i manicaretti, intatti per l'assenza di fame quanto era intatto il bicchiere. Il ragazzo aveva preferito evitare di bere dalle brocche che i servi puntualmente riempivano; temeva, stavolta, Almashan non l'avrebbe potuto salvare. Si era portato, nascosta tra gli strati di vestiti, una piccola fiasca con dell'acqua ed aveva bevuto solo da quella, evitando di farsi notare mentre lo faceva.
Osservò le candele bruciare, la loro fiamma divorare la cera e farsi strada inconsapevolmente verso la propria estinzione, e sentì la sua pelle avvampare di un calore freddo, sinistro. Era quasi come se si fosse insinuato in lui il buio che quel fuoco tentava di allontanare, un buio raggelante, il quale aveva messo all'erta tutte le sue viscere. Tentò di replicare qualcosa all'avvertimento del Sapiente, ma non appena le labbra si dischiusero per proferir parola, un fragore di stoviglie infrante e delle urla lo ammutolirono. Fece vagare lo sguardo sugli ospiti, percorrendone ogni incavo, finchè non individuò il fulcro da cui era stato generato il fracasso e l'interesse che quella direzione aveva attirato.
Ferni si era aggirato per tutta la durata dei festeggiamenti alle spalle di Veer e Mothalthin, usufruendo della scusa di un saluto a qualcuno lì vicino per dar loro fastidio. Talvolta aveva perfino innalzato il calice per brindare con le sue due vittime, socchiudendo gli occhi con un'aria di malcelata sfida. Gli unici motivi che avevano trattenuto il fratellastro dall'avventarsi contro di lui ed i suoi infantili tentativi di provocarlo, erano stati la presenza rassicurante di Mothalthin, con il suo tono di voce sempre pronto ad infondere calma, ed il ricordo di come Ferni si era procurato la cicatrice che gli sfregiava il volto. Era stato Veer a fargliela, durante un duello, apparentemente doveva essere solo una farsa ma si era trasformato in una vera e propria competizione per aggiudicarsi la supremazia di uno sull'altro. Appena loro padre si era voltato, avevano afferrato armi affilate, reali armi da combattimento, ed avevano iniziato ad infliggersi fendenti nell'unica speranza che almeno uno andasse in porto. Erano piccoli, estremamente piccoli ed innocenti a primo sguardo, ma Veer, due anni più grande, era stato così offeso dal comportamento sfrontato del fratello minore che si era sentito in dovere di fargliela pagare. Due parate dopo, aveva fatto saltare dalla mano di Ferni l'elsa della spada e poco prima che Deithor rivolgesse nuovamente loro gli occhi, si era mosso per gettarlo a terra e fargli male. Davvero male. Un pugno, ed il fratellastro minore si era trovato con la schiena nella terra ed uno stiletto ad azzannargli la faccia. Veer quel giorno ne aveva prese così tante, non si era mosso dal letto per tutta la settimana successiva. L'animo fiero del suo operato nonostante gli avesse procurato dolori lancinanti per quasi un mese. E la stessa fierezza l'aveva pervaso anche quel pomeriggio, quando si era alzato reclamando di essere chi sapeva di non essere più. Eppure alle trappole di Ferni, durante il banchetto, sembrava non riuscire a resistere. Sapeva le sue azioni erano mirate solo ad infastidirlo, e nonostante questo era tentato di cedere ai propri istinti e scagliarsi contro l'altezzosa superiorità che quel bastardo vantava. Fu però una frase in particolare a fargli perdere ogni qualsivolesse maschera di indifferenza, una frase che Ferni di sicuro si era conservato per tutta la sera come un gioiello prezioso.
« Ho saputo che ti sei dato da fare per rimpiazzare Solana. » finì di parlare e le mani di Veer, improvvisamente alzatosi, si avventarono sul suo collo in una presa che, per quantitativo di forza, poteva rasentare quella di Maitreya. Il fratellastro annaspò, colto alla sprovvista proprio come il giorno del loro duello da bambini, e si trovò con le spalle pestate contro il legno della tavolata. Veer aveva smarrito il controllo, voleva ucciderlo, voleva farlo soffrire come aveva sofferto lui, farlo pentire di tutto quello che avesse fatto. Lo sollevo di poco dal ripiano e vi scaraventò Ferni di nuovo addosso, con ancora più ira e mandando in frantumi i piatti con gli avanzi. Udì Mothalthin pregarlo di fermarsi, le sue deboli braccia tentare di fermarlo e poi smarrì definitivamente il senno. Le candele più vicine si spensero e l'oscurità fece un passo avanti nel salone, attendendo il momento giusto in cui ne avrebbe preso il pieno possesso. Le mani di Veer s'infuocarono ed i presenti arretrarono di qualche passo, Mothalthin incluso. Yed si fece avanti, il sangue di Drago che gli assicurava uno scudo certo contro il calore, ma Kohor lo scansò malamente, avanzando lui per arrestare il Rekker Rinnegato con disappunto della moglie. Prima di ognuno di loro però, giunse Almashan nei pressi dei due litiganti e con uno strattone ben assestato li divise. Ferni riprese a respirare e cercando di tirarsi in piedi, venne sorretto dal Rekkar dei Cani Neri, il quale nell'espressione lasciava trasparire la sua disapprovazione: provocare un uomo a cui si ha già tolto ogni bene o affetto più caro è da sconsiderati, immaturi. Veer barcollò all'indietro ma subito riacquisì l'equilibrio e tentò un nuovo assalto contro il fratellastro. Almashan si mise in mezzo e lo trattenne senza alcuna fatica, percepiva i muscoli del diretto interessato tendersi ed il corpo tentare di farsi strada contro il suo per provare un altro attacco, ma non era abbastanza forte.
« Verrà un giorno, forse molto lontano ma verrà, in cui sentirai la pressione della mia lama squarciarti la schiena per tirarne fuori le costole, una ad una! I polmoni scivoleranno, viscidi di sangue, sulle tue spalle, come ali di una rossa aquila. E soffocherai! Soffocherai lentamente, ricordandoti di Solana e della freccia che le hai piantato in gola! Io te lo giuro, lo giuro a te e a tutti coloro che ti sostengono! Avrò pace solo nella tua morte! » Veer sbraitò, fuori di sé dall'odio che in quel momento gli offuscava la ragione ed incurante di cosa potesse pensare Cassivellanus del suo atteggiamento. Gli importava solo di vendicare sua moglie, la sua amata sorella, la sua famiglia ed il suo onore. Ma l'uomo dai bianchi capelli lo teneva stretto a sé, impedendogli di afferrare nuovamente la gola del fratellastro, il quale vantava cinque dita rossastre e gonfie sbocciate sulla pelle della gola. Se soltanto non avesse avuto il briciolo di sangue della sua Dinastia che malauguratamente invece possedeva, la testa di quel verme starebbe rotolando a terra, mozzata di netto dalle stesse mani roventi che gli avevano deturpato il viso. Veer pensò a suo padre, lo detestò con tutto il cuore per aver deciso di risparmiare la vita al suo figlio bastardo e si lasciò cadere a terra, in lacrime. L'esplosione di rabbia era andata scemando ed ora non rimanevano altro che i soliti sentimenti di disperazione ed inutilità a fargli da compagni. Raccolse la testa nei palmi e gridò, un grido gutturale e carico di stanchezza. Stanchezza di lottare, di fuggire, di vivere. Perchè non aveva potuto morire con Solana? I Celesti gli avevano tirato un brutto scherzo del destino lasciandolo vivo.
« Andatevene » Cassivellanus apparve dalla folla radunatasi attorno a Dhoveerdhan, facendosi strada a fatica tra la calca di corpi tutti stretti l'uno contro l'altro. Si pose tra lui e gli sguardi curiosi dei nobili e ripetè il suo invito « Andatevene. È finita la festa. » rivolse un'occhiata al Grande Sapiente e lo vide annuire, soddisfatto del suo tono, mentre si chinava insieme alla persona al suo fianco per far rialzare Veer.

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora